Ci sono dischi che ti piovono tra capo e collo, dischi che sei costretto a inseguire, a volte persino a stanare, dischi nei quali inciampi senza volerlo e dischi che mai ti saresti immaginato. Poi ci sono i dischi che si fanno desiderare, che aspetti con ansia e trepidazione, fantasticando sul primo ascolto con la quasi certezza (al netto di improbabili ma non impossibili delusioni) che qualcosa di meraviglioso stia per accadere. Più che meraviglioso nel caso di “The New Bridge” (prodotto da Michele Schembri per l’etichetta Blu International music in uscita nei primi mesi del 2021) , nuova sfavillante testimonianza del conclamato virtuosismo chitarristico di Antonio Onorato. Accanto al chitarrista partenopeo, uno straordinario Gerald Cannon contrabbassista del famoso McCoy Tyner Trio. Cannon è il continuo dei grandissimi caposcuola come Ray Brown, Sam Jones, Ron Carter e Buster Williams. A completare la band c’è Mario De Paola alla batteria, tra i più grandi e virtuosi batteristi per la sua potenza e tecnica pecussiva attualmente in Italia. Il disco è composto da cover famose come “Malfemmena” di Totò, “Palummella”, “Chi tene o mar” di Pino Daniele, “How insensitive” di Jobim, ‘All Blues” di Miles Davis, “Darn that dream” di Jimmy Van Heusen, mentre l’unica traccia composta da Onorato è “Neapolitan minor blues” che apre l’album. Il progetto discografico sembra quasi assemblato con l’obiettivo di ridisegnare una scaletta che tragga spunto dalle sue variegate esperienze artistiche per rileggerle con le potenzialità del trio. Del resto Onorato ha sempre inframmezzato la sua attività con le varie band, divenuta sempre più mainstream con il passare degli anni, con incursioni in territori jazz, bossanova, canzoni classiche napoletane, atmosfere World music.
Onorato è arrivato a praticare, un jazz capace di mescolare di continuo i suoi linguaggi base (be bop, cool, free) viaggiando ad un alto grado di perfezione formale e poetica. Si suona da professionisti, in interazione con se stessi oltre che con gli altri; ogni sentire è espresso da uno, amplificato dagli altri, ricatturato e rimesso in circolo da chi lo aveva liberato poco prima. Onorato si prende i suoi assoli e ne lascia altrettanti ai suoi partner, coinvolgendoli in un paio di esperimenti ardimentosi a tratti al limite di grande libertà formale.
“The New Bridge” è un album fruibile, in grado di parlare quella lingua trasversale che ha reso Onorato uno dei chitarristi più celebrati in Italia, ma tant’è: è un album in cui il jazz fusion domina sovrano con la sua combinazione più insidiosa e perfetto, il trio. Roba da professionisti. Negli anni, sono molte le formazioni jazzistiche che hanno lasciato il segno in italia, e che ancora oggi vengono apprezzate e idolatrate sia dai “veterani” appassionati di jazz, sia dai giovani che riscoprono il fascino di un linguaggio musicale intramontabile che porta gli strumenti e le melodie al di là di ogni singola nota, raggiungendo quella sorta di “ignoto” che colpisce e incanta. A conti fatti, la musica è tutt’una, indistinguibile. Ogni genere e ogni artista trasmette delle emozioni totalmente individuali, con i rispettivi “effetti collaterali” che non possono essere “spiegati” o “tradotti” se non da colui che li percepisce. Si può etichettare la musica, distinguendola per generi; ma quando, come nel caso del jazz, ci ritroviamo davanti a centinaia e centinaia di eccellenti artisti con altrettante splendide “opere d’arte”, non esistono termini di paragone, non esistono confronti, non esistono “duelli”. Rimane solo una cosa da fare: ascoltare e godersi uno dei tanti viaggi con la mente che abbiamo scelto di intraprendere. Quello in questione, è un viaggio attraverso la più semplice ed essenziale formazione jazz: il Trio. Anche in questo caso, le possibili combinazioni dei vari strumenti sono molte; ma possiamo provare a restringere il campo considerando il trio composto da chitarra, basso e batteria. Questo è un progetto discografico intenso, sentito, istintivo, un grande abbraccio da Napoli a New York, una contaminazione tra la musica mediterranea, lo swing e la melodia afroamericana. “The New Bridge” è un disco da ascoltare e da comprare.
Com’è nato l’incontro e il progetto con Cannon e De Paola? <<Ho conosciuto Gerald due anni fa a Milano, perché la moglie è napoletana. Tramite lei, che è una mia amica, ho conosciuto lui, che in quel periodo erano in Italia per un viaggio e motivi di lavoro. Tra noi, è scattata subito una grande empatia artistica, lui ha voluto ascoltare dei miei progetti discografici, mentre io ho ascoltato i suoi. Cannon in casa, aveva una vecchia Calace, una chitarra prestigiosa di un grandissimo liutaio napoletano. La presi, l’accordai e mi misi a suonare “Munastero e Santa Chiara”. Gerald impazzito, si alza dal divano e mi riempe di complimenti. Inizia a dire: vieni con me a New York, andiamo a suonare al Blue Note. Abbiamo iniziato a collaborare, suonando in vari Festival jazz italiani nell’estate del 2018. Sempre nello stesso anno, parto con Mario De Paola per la “Grande Mela”, dove siamo ospiti a casa di Gerald e di Minni, la moglie. Loro abitano ad Harlem, il quartiere black della città. Poi, sotto suggerimento di Gerald, ci siamo recati al Bunker Studio di Brooklyn, uno studio molto importante, dove hanno registrato moltissimi artisti jazz americani. Il disco, lo abbiamo registrato in un pomeriggio. Dopo averlo ascoltato, abbiamo visto che era venuta molto bene la registrazione ed abbiamo deciso di pubblicarla. Lo abbiamo prodotto in tre, con Gerald è nata una collaborazione ed una coesione artistica vera e propria>>.
Carlo Ferajuolo