Non ho l’età: il dramma delle spose bambine

Oggi vorrei dedicare questa mia breve analisi sociale ad un tema molto legato alla sfera femminile, che in alcuni posti del mondo è ancora relegata al ruolo di semplice oggetto, merce di scambio, tra uomini… Di cosa parlo? Del fenomeno delle spose bambine!

Iniziamo subito a lanciarci nella nostra inchiesta, e voglio farlo dando subito “i numeri”: dati alla mano, secondo il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA) nel mondo sono 650 milioni le giovani che si sono sposate da minorenni, o addirittura bambine, nella maggioranza dei casi in matrimoni combinati dalle famiglie. Secondo le previsioni dell’UNFPA nel 2030 saranno 150 milioni in più. Sono oltre 30mila le bambine private dei loro diritti che ogni giorno vengono “date in sposa”, senza che abbiano la possibilità di opporsi, spesso a persone molto più grandi di loro. I matrimoni precoci hanno poi conseguenze gravissime su milioni di bambine e giovani donne per diversi motivi. Questi matrimoni causano abbandono scolastico, favoriscono casi di violenza e abusi domestici, isolamento sociale e mancanza di indipendenza ed emancipazione. Le gravidanze precoci inoltre hanno elevati rischi di mortalità sia per la madre che per il bambino: le complicanze legate a gravidanza o parto, sempre secondo il rapporto dell’UNFPA, sono la prima causa di morte per le adolescenti tra i 15 e i 19 anni, in tutto il mondo. I matrimoni precoci sono molto diffusi soprattutto in zone rurali molto povere e con bassissimi livelli d’istruzione, in cui le bambine sono considerate dalle famiglie come un peso, in quanto ritenute meno utili per il lavoro in campagna rispetto ai figli maschi.  Il fenomeno dei matrimoni forzati e precoci è strettamente legato anche alla situazione di marginalizzazione sociale: in mancanza della possibilità di accedere all’istruzione, l’alternativa è quella di emanciparsi attraverso il matrimonio, come accadeva anche in Italia più di cinquant’anni fa. Molti genitori impoveriti credono che il matrimonio garantirà il futuro delle loro figlie assicurando che un’altra famiglia sarà responsabile della loro cura. Un aspetto agghiacciante ma inevitabile nelle crisi umanitarie, quando molti genitori temono di non essere in grado di proteggere o di prendersi cura delle proprie figlie.

Oltre al rischio per la salute e la sopravvivenza della bimba/mamma in gravidenza e/o durante il parto, vorrei ricordare che in parecchie circostanze esistono anche parecchie violenze celate: quando entrano nella sfera domestica del marito, le bimbe/spose spesso subiscono violenze anche da parte dei familiari. In India e Paesi limitrofi sono segnalati incidenti dell’acqua bollente perché quando le spose giovani o bambine si ribellano, le suocere versano loro addosso l’acqua bollente per punirle. Questi casi spesso non vengono denunciati come forme di violenza ma come “incidenti domestici”Mi fa piacere parlare di una bimba/sposa con i cosiddetti attributi, una storia che ho letto non molto tempo fa e che mi fa pensare sempre di più di quanto le donne siano spesso un passo avanti rispetto a noi uomini, e di quanto coraggio hanno. Parlo del caso di Ghulam Sughra, sposa bambina e donna coraggio, diventata oggi una grande attivista per i diritti delle donne. Sposa bambina quando aveva 12 anni, sei anni dopo è diventata la prima donna del suo villaggio a divorziare: tornata nel suo villaggio, Ghulam Sughra ha sfidato ogni norma sociale, pregiudizio, discriminazione e ipocrisia. Ha lottato per studiare da autodidatta, è stata spesso picchiata dai suoi fratelli che glielo impedivano, è stata la prima ragazza della sua comunità a ottenere un diploma di scuola superiore, poi la prima insegnante in una scuola femminile nel suo villaggio. Ecco la sua storia che ha raccontato in un’intervista non molto tempo fa: “Sono nata nel 1970 nel Sindh, in un villaggio rurale di 200 case. Mio padre era insegnante in una scuola pubblica. Mia madre, casalinga, mi ha sempre sostenuto in ogni fase della mia vita. Con lei ho sempre condiviso tutto. In casa eravamo una figlia e tre figli maschi. Da bambina desideravo tanto andare a scuola, ma il mio sogno si è frantumato davanti alla tradizione locale per la quale le donne non hanno bisogno di uscire di casa e cercare un’istruzione. Mi sono dovuta sposare all’età di 12 anni. Quando ne avevo 20, mio marito mi ha abbandonato accusandomi di essere analfabeta e poco attraente. Dopo il mio divorzio, tutto ciò che mi restava erano i miei figli. Quando sono tornata a casa dai miei genitori, mi sono sentita respinta, umiliata, tanto da arrivare quasi al suicidio. Ma ho resistito e sono andata avanti. Ho cominciato a esprimere la mia volontà di andare a scuola, ma i miei fratelli me lo hanno impedito. Sono nata in una famiglia e un ambiente molto conservatori, è vero, ma sono cresciuta con un forte senso dell’uguaglianza e delle pari opportunità per le donne e con la volontà di fare tutto il possibile per contribuire al cambiamento.”

In Italia, al di là degli episodi, per fortuna sporadici, riportati dalla stampa, rimane ancora difficile valutare l’entità del fenomeno. Da noi esistono norme chiare e una rete efficace di tutele. Credo però, come mia considerazione, che è importante promuovere sistematicamente il tema del matrimonio forzato nelle scuole, nei centri sociali e in quelli anti-violenza, per far sì che le minori conoscano i loro diritti e sappiano come e a chi chiedere aiuto. Sono i matrimoni forzati che negano il diritto all’infanzia a milioni di bambine nel mondo, e quando un genitore, un persona di cui ci si fida ciecamente, costringe a dover subire, si arriva ad un vero e proprio trauma. Non c’è peggior tradimento di quello di un genitore! Quando neanche un padre ed una madre riconoscono i bisogni del proprio bambino, si prendono cura di lui, dove e a chi quella povera creatura si può aggrappare?