A cura di Maresa Galli
Al Teatro Mercadante di Napoli si concludono il 5 maggio le repliche de “Le memorie di Ivan Karamazov”, drammaturgia di Umberto Orsini e Luca Micheletti e interpretato dal grande attore, splendido novantenne, un gigante del Teatro. Orsini porta in scena per la terza volta il personaggio di Ivan, da “I fratelli Karamazov”, “biografia spirituale” di Fëdor Dostoevskij. “Sembra incredibile ma è quasi mezzo secolo che conosco il signor Ivan Karamazov – spiega l’attore novarese – l’ho incontrato in uno studio televisivo di Via Teulada, a Roma, e da allora ci siamo guardati nello specchio e ci siamo confusi uno nell’altro al punto di identificarci o de-identificarci”.
Dopo il seguitissimo sceneggiato televisivo di Sandro Bolchi e “La leggenda del Grande Inquisitore”, Orsini/Karamazov mette in scena le sue memorie svelando sentimenti profondi e la sua filosofia di vita, il suo non credere in un Dio ingiusto prima reclamato e poi negato dagli uomini. “Dostoevskij abbandona Ivan al suo destino dopo il processo per il parricidio- afferma Micheletti – è sembrato interessante ripartire da lì, dal processo. Prigioniero di quell’aula, di un finale mai scritto, di una sentenza sbagliata, il nostro Ivan continua ad aggirarsi tra i frammenti della sua esistenza, osservati come prove materiali di fatti e memorie che riemergono a strappi, negli spazi di lucidità che gli concedono le febbri cerebrali, nel circolare affastellarsi di teorie e ricordi, in un girotondo giudiziario kafkiano e grottesco, sempre meno reale, che inesorabilmente scivola nell’ultraterreno”. La scena è ambientata nell’aula del tribunale dove Ivan testimonia a difesa del fratellastro Dimitrij accusato dell’omicidio del padre. Da lì, invecchiato e stanco, Ivan riflette sulla sua vicenda e sulla natura umana, sull’impossibilità dell’esistenza di Dio.
Una scena barocca e decadente, un tribunale fatiscente, cupo, memoria di sottosuolo. Ivan libero pensatore che sostiene l’amoralità del mondo, ateo, pessimista, nichilista, è lui in realtà a spingere all’omicidio Smerdjakòv, l’assassino del padre. Il superamento della legge morale di Ivan è connesso alla vicenda di Raskòl’nikov in “Delitto e castigo”. Qui ritroviamo lo sdoppiamento della personalità nell’incubo di Ivan, presente negli altri scritti di Dostoevskij; la “malattia della coscienza” e la “filosofia del sottosuolo” che rievoca le “Memorie dal sottosuolo”. Ivan, Alëša, Mitja sono tre tappe del cammino morale, tre aspetti della personalità di Dostoevskij. Ivan nega l’opera di Dio in nome delle sofferenze terrene, specialmente quelle dei bambini, gli innocenti. Nel Grande Inquisitore, alta enunciazione della contrapposizione tra libertà e costrizione, tra sentimento e ragione, il dilemma è lasciato aperto. Ivan, al pensiero di essere moralmente colpevole del delitto commesso da Smerdjakòv, perde la ragione. L’uomo non può sostituirsi a Dio, come vorrebbero i Raskol’nikov, gli Ivan, i nichilisti. Dostoevskij condanna il nichilismo, e mostra la tempesta di dubbi dell’uomo moderno. Oltre la negazione, l’uomo della crisi possiede anche valori positivi e questo dialogo costante è l’uomo. Le antinomie del grande scrittore russo sono ancora attuali: la psiche umana è imperfetta, l’anima, lacerata, è a caccia dell’armonia, combattuta tra il bene e il male. “La vera vita degli uomini e delle cose comincia soltanto dopo la loro scomparsa …” è una frase di Nathalie Sarraute che Orsini inserisce nello spettacolo.
Ivan parla ad uno specchio, scena che ricorda la follia di Ivan nell’ultima puntata del memorabile sceneggiato di Bolchi. Personaggio imprendibile, tormentato, filosofo, parlerà di Cristo ritornato sulla terra e di un vecchio inquisitore spagnolo che crede che Egli si meriti il rogo. Come può aver creato gli uomini così imperfetti? Perché l’uomo è così incapace di gestire la propria libertà? Si ode la voce fuori scena di Orsini, trasmessa da uno strano marchingegno, la voce dell’attore interprete dello sceneggiato Rai. Dall’alto cadono carte processuali nella vetusta e cupa aula, nell’eterno presente di un personaggio incompiuto, scenografia perfetta ed emozionale di Giacomo Andrico, così come perfetti sono le luci di Carlo Pediani, i costumi di Daniele Gelsi, il suono di Alessandro Saviozzi. Soprattutto perfetta, magistrale è la recitazione di Orsini, maestro dei maestri, che restituisce tutta la complessità, la problematicità, la grandezza di un personaggio che bussa ancora alla nostra coscienza interrogandoci. Standing ovation ad ogni replica.
Maresa Galli