Napoli – Malkovich e Dapkunaite strepitosi interpreti di Koltès

A cura di Maresa Galli

Gran finale per il Campania Teatro Festival con un capolavoro del 1985 di Bernard Marie-Koltès, grande drammaturgo che ha triturato la lezione di maestri del ‘900, da Brecht a Genet, da Strindberg a Beckett, giungendo al cuore del pubblico con la stessa intensità del cinema. “In the solitude of cotton field”, “Nella solitudine dei campi di cotone”, in lingua inglese con sovratitoli in italiano, in prima assoluta al Politeama di Napoli, è multimediale, con cinque videografi che lavorano online, effetti video, con grandi primi piani dei volti degli attori, due carismatici, strepitosi interpreti, Ingeborga Dapkunaite e John Malkovich, per la regia di Timofey Kulyabin, nella riscrittura del drammaturgo russo Roman Dolzhansky.

Koltès, come scrive Sarrazac, proietta i personaggi in situazioni “agonistiche” per ritrovare “la forza primordiale della tragedia antica”. “Nella solitudine dei campi di cotone” una disputa retorica coinvolge un dealer e un suo cliente che si incontrano di notte, in un luogo non definito, e il dealer ha qualcosa da offrire all’altro uomo, da vendere o acquistare. Se “nulla è ingiusto su questa terra”, troppo desiderio consumato si trasforma in disgusto, come quello del cameriere al ristorante che elenca tutto ciò che hai divorato.

Entrambi portatori di desideri e passioni, si esprimono con linguaggio denso, simbolico, ambiguo e violento, allusivo, poetico, seduttivo. “perché mi accarezzi – confessa l’uomo al dealer – se mi aspetto un pugno?” Non è preferibile essere diffidenti? Sol la malvagità ci mantiene intatti. Heiner Müller sottolineava l’enormità del teatro di Koltès, proprio per i suoi personaggi costruiti e sviluppati interamente a partire dal linguaggio. Un serrato dialogo senza sbocco, in un gioco di rivelazione/occultamento che non rivelerà fino in fondo il desiderio sessuale, l’omosessualità, irresistibili pulsioni e lacerazioni interiori.

Più si intrecciano gli scambi verbali, meno ci si conosce e più ci si allontana da sé stessi, in un crudele gioco di specchi. Una disputa apparentemente a due, interiore, sfiancante, che avvicina/tiene a distanza i protagonisti, che capovolge i ruoli, anche molto fisici, dei due bravissimi attori, Dapkunaite e Malkovich, perfettamente diretti dal regista russo. Un’indimenticabile pagina di Teatro.


Maresa Galli