Muore Raffaele Cutolo e porta nella tomba decina di segreti.

Il boss Raffaele Cutolo, fondatore e capo della Nuova camorra organizzata, è morto all’età di 79 anni: era ricoverato nel reparto sanitario detentivo del carcere di Parma, lo stesso dove morì a fine 2017 Totò Riina. Malato da tempo, le sue condizioni si erano nuovamente aggravate nell’agosto scorso. Cutolo era detenuto in regime di 41 bis dopo le condanne in via definitiva a 14 ergastoli. Responsabile di stagioni sanguinarie che vanno dalla fine degli anni ’70 alla fine degli anni ’80, il boss di Ottaviano è stato giudicato colpevole anche degli omicidi dell’ex vicedirettore del carcere di Poggioreale Giuseppe Salvia e per il delitto di Marcello Torre, avvocato e sindaco di Pagani. Fu protagonista della trattativa Democrazia  e le Brigate Rosse per la liberazione di Ciro Cirillo, rapito il 27 aprile 1981 e liberato il 24 luglio 1981.

Cutolo fu un boss potente, più di un primo ministro. Un potere che lo tenne in carcere tutta la vita; i segreti, che si porta nella tomba, non riuscirono a ricattare il potere politico che l’aveva usato. Uomo violento e disperato partorito da un un territorio violento e disperato come quello dei Paesi Vesuviani.

Era il camorrista per eccellenza Raffaele Cutolo. Era detenuto ininterrottamente dal 1979, dopo il suo arresto ad Albanella, in provincia di Salerno. Soprannominato “ò professore” dai suoi compagni di carcere, perché l’unico tra di loro capace di leggere e scrivere, nacque ad Ottaviano, in provincia di Napoli, il 4 novembre 1941. Nel 1983 sposò Immacolata Jacone, nel corso di un matrimonio celebrato nel carcere dell’Asinara. Il suo primo omicidio l’ha commesso a 22 anni per questioni di onore, per “difendere” la sorella Rosetta dagli apprezzamenti di un giovane del suo paese: era il 1963. Un reato per cui verrà condannato all’ergastolo, pena ridotta in appello a 24 anni di reclusione, che comincia a scontare per poi essere scarcerato per decorrenza dei termini. Ma quando la Cassazione conferma la condanna, si dà alla latitanza fino al 25 marzo 1971, quando venne nuovamente arrestato e condotto nel carcere di Poggioreale.

Negli anni 80 la faida tra Nuova Camorra Organizzata e Nuova Famiglia fu un conflitto armato svoltosi nella prima metà degli anni  tra le organizzazioni camorristiche della Nuova Camorra Organizzata  e della Nuova Famiglia  e conclusosi con la vittoria di quest’ultima.

Dopo la fine della guerra tra Nuova famiglia e NCO, ci fu una sorta di rottura tra i Nuvoletta-Gionta-D’Alessandro e gli Alfieri-Galasso-Bardellino. A sancire la fine del lungo rapporto fu l’omicidio di Raffaele Ferrara ed il successivo arresto di Bardellino in Spagna. Raffaele Ferrara fu ucciso da Vittorio Vastarella, detto “Naso ’e cane”, un malavitoso di Villaricca. Fatto fuori Papele ‘e Magliarano, i Nuvoletta non avevano più rivali e divennero gli unici referenti di Cosa nostra in Campania.

Le cause dello scoppio

Il conflitto scoppiò perché Raffaele Cutolo pretendeva il pagamento di una tangente  su ogni attività illecita, specialmente sul contrabbando di sigarette; a proposito il collaboratore  Alfonso Ferrara Rosanova, figlio e omonimo del boss Alfonso , dichiarò:

«Salvatore Zaza si lamentò con mio padre della richiesta delle 20.000 lire a cassa di sigarette che il Cutolo pretendeva dai contrabbandieri. Salvatore Zaza disse a mio padre: “O fai ragionare al Cutolo o qua si scatenerà una guerra grande.” […] La vera ragione di tale pretesa era che il Cutolo non voleva assolutamente che i “siciliani” comandassero a Napoli perché sia i Nuvoletta che gli Zaza erano i rappresentanti della mafia siciliana in Napoli. In effetti i veri motivi della guerra non furono le 20.000 lire ma il fatto che voleva scacciare i siciliani».

La “Nuova camorra organizzata” (Nco) sembrerebbe sia nata proprio durante la detenzione a Poggioreale. Un’organizzazione piramidale e paramilitare, al cui vertice c’è solo Raffaele Cutolo detto ‘Vangelo’, con una base di giovani reclutati nel sottoproletariato. Rimane a Poggioreale sino al maggio del 1977 quando la Corte d’Appello riconosce al boss l’infermità mentale, disponendone il ricovero in un istituto psichiatrico: dal monastero di Sant’Eframo Nuovo a Napoli viene trasferito nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa. Da lì riuscirà ad evadere il 5 febbraio del 1978 grazie ad una carica di nitroglicerina piazzata all’esterno dell’edificio che squarcerà le mura. Nel corso della latitanza avvia rapporti con la malavita pugliese, con la ‘ndrangheta, con le bande lombarde di Renato Vallanzasca e con Francis Turatello per il commercio della cocaina e per la piazza romana con la Banda della Magliana e il luogotente fidato Nicolino Selis.

Il terremoto dell’Irpinia del 1980 sarà il terreno per fare soldi con gli appalti della ricostruzione. Non esiterà a fare fuori il sindaco di Pagani Marcello Torre, colpevole di aver bloccato l’assegnazione di un appalto ad una ditta collegata con la Nco. La popolarità della sua nuova organizzazione cresce. “Dicono che ho organizzato la nuova Camorra – dirà allo storico e politico Isaia Sales – Se fare del bene, aiutare i deboli, far rispettare i più elementari valori e diritti umani che vengono quotidianamente calpestati dai potenti e ricchi e se riscattare la dignità di un popolo e desiderare interamente un senso vero di giustizia, rischiando la propria vita per tutto questo, per la società vuol dire camorra, allora ben mi sta quest’ennesima etichetta”.

Cutolo non si è mai distaccato dalla mentalità camorristica, non ha mai voluto intraprendere un percorso di collaborazione con la giustizia ed è sempre rimasto fedele alle sue convinzioni. “E’ l’unico che non si è pentito, se l’avesse fatto avremmo potuto sapere parecchie cose, segreti che ha portato via con sé”, riflette Felice Di Persia, sostituto procuratore che avviò l’inchiesta sulla Nuova camorra organizzata. Il processo fu decisivo per lo smantellamento della potente organizzazione cutoliana: “Fu detto ‘processo Tortora’- ricorda Di Persia all’Adnkronos – ma i rinviati a giudizio furono 630, il processo in tre tronconi portò a 480 condanne, un risultato che diede certezza alla nostra indagine. Con quel processo la Nuova Camorra organizzata finì, rimasero solo delle frange che poi man mano sono state sconfitte”.

Cutolo rilasciò delle dichiarazioni agli inquirenti della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli (il pm Ida Teresi e il capo della Dda dell’epoca, Giuseppe Borrelli, attuale procuratore a Salerno) rivelando di avere avuto addirittura la possibilità di impedire l’omicidio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. Furono parole “pesanti” quelle pronunciate dal professore, messe a verbale il 25 ottobre del 2016: “Potevo salvare Moro ma fui fermato“. “Aiutai – spiegò Cutolo – l’assessore Cirillo, potevo fare lo stesso con lo statista. Ma i politici mi dissero di non intromettermi”. Nel ’78 Cutolo era latitante e si sarebbe fatto avanti per cercare, sostiene lui, di salvare Moro. “Per Ciro Cirillo si mossero tutti, per Aldo Moro nessuno, per lui i politici mi dissero di fermarmi, che a loro Moro non interessava”.

Le sue condizioni – Cutolo soffriva di problemi respiratori. “Raffaele Cutolo era ricoverato da diversi mesi nell’ospedale di Parma ed è morto per le complicazioni legate ad una polmonite a cui si è associata una setticemia del cavo orale. Purtroppo era da due giorni in choc settico e non ce l’ha fatta”, ha spiegato a LaPresse l’avvocato Gaetano Aufiero, legale del boss della Nuova Camorra Organizzata. “Le esequie – ha aggiunto il legale – si svolgeranno in forma privatissima ad Ottaviano”, paese natale di Cutolo. Dopo un primo ricovero nel febbraio di un anno fa, a inizio giugno i giudici del tribunale di Sorveglianza di Bologna avevano respinto il ricorso del boss alla sentenza dei magistrati di Reggio Emilia che, il 12 maggio, avevano rigettato la richiesta di detenzione ai domiciliari per motivi di salute, rispedendolo al 41bis. Il tribunale aveva spiegato che “la presenza di Raffaele Cutolo potrebbe rafforzare i gruppi criminali che si rifanno tuttora alla Nco, gruppi rispetto ai quali Cutolo ha mantenuto pienamente il carisma“. Cutolo “nonostante l’età e la perdurante detenzione rappresenta un ‘simbolo’ per tutti quei gruppi criminali” che “continuano a richiamarsi al suo nome”. A spingere i giudici a rigettare la richiesta è stato anche il rifiuto del boss di Ottaviano di sottoporsi ad accertamenti medici che potessero dare maggiori indicazioni sulle sue condizioni di salute. Poi, a inizio agosto, le sue condizioni erano nuovamente peggiorate, tanto da imporre un nuovo ricovero in ospedale.

Il grande cantautore Fabrizio De André gli dedicò la canzone “Don Raffaè”.

Le reazioni – “Un capo sanguinario della camorra, protagonista della trattativa tra i servizi segreti ed esponenti della Dc per la liberazione di un assessore regionale campano rapito dalle Brigate Rosse.Ha portato con se i misteri del caso Cirillo”, scrive in un tweet il senatore del Gruppo Misto Sandro Ruotolo.