La pandemia attraverso gli occhi Dei Bambini, intervista alla dott.ssa Giuliana Attanasio.
Durante il difficoltoso periodo di permanenza obbligatoria in casa, avvenuto la scorsa primavera, la chiusura delle scuole, le restrizioni e i distanziamenti sociali che hanno cambiato radicalmente la quotidianità dei bambini.
Senza ombra di dubbio è importante ricordare che una quarantena di massa così lunga, e soprattutto che ha interessato praticamente tutto il mondo, non si era mai vista. Il materiale letterario-scientifico riguardante i danni che un isolamento forzato può provocare era già molto vasto, elencando vari stati patologici: stress post-traumatico, disturbi di adattamento, ansia, sintomi depressivi, perdita di motivazione, senso di affaticamento fisico e cognitivo, sentimenti di autosvalutazione, tristezza, rabbia, paura e colpa, aumento della violenza e dell’aggressività, sospettosità paranoide, suicidio.
Per mettere nero su bianco l’effetto che la quarantena, dovuta al mostro dal nome CoVid19, ha realmente avuto su tutti noi, riportiamo la dichiarazione del professore Gabriele Sani del Policlinico Gemelli: dagli studi in corso risulta che l’80% della popolazione ha sviluppato sintomi ansiosi e depressivi, anche gravi. Più volte nelle loro dichiarazioni spiegavano, sulla base delle ricerche, che il malessere psicologico ha effetti negativi sulla salute fisica poiché indebolisce le difese immunitarie, esponendo la popolazione a rischi maggiori, proprio in un momento in cui la tutela della propria salute generale ed uno stile di vita sano, uniti ad una saggia gestione delle proprie emozioni, sarebbero stati indispensabili per affrontare con maggiore tranquillità una malattia virale.
Inutile nascondere che purtroppo i vari media, e anche social-media che sappiamo essere “virali” nella diffusione super rapida di notizie ed informazioni, hanno purtroppo continuato a diffondere allarme ed angoscia anche quando si è avuto un ridimensionamento dei ricoveri nei reparti di terapia intensiva o quando si è iniziato a comprendere meglio la malattia e la sua diffusione. È stato evidenziato che i soggetti realmente esposti a grandi rischi erano anziani o adulti affetti da patologie che indeboliscono il sistema immunitario. Bambini e adolescenti, che contraggono il virus, manifestano sintomi molto lievi e raramente hanno bisogno di terapie intensive.
Nei bambini e nei ragazzi le forme cliniche sono prevalentemente paucisintomatiche, lievi e/o moderate, eccezionalmente si sono avuti 3 casi gravi che hanno necessitato di cure intensive”.
A tal proposito, allora, è giusto rassicurare genitori e famiglie spiegando loro che la vita dei loro bambini e ragazzi non è così in pericolo come sembrava all’inizio e che, rispettando assiduamente le regole precauzionali che ci hanno imposto, la situazione riuscirà ad essere sotto controllo.
Grazie al lavoro dei ricercatori e dei medici il CoVid19, infatti, si può curare con successo nella maggioranza dei casi. Bambini e adolescenti non sono una fascia di popolazione a rischio.
A sostegno di quanto detto appare illuminante lo studio ampio e approfondito condotto in Gran Bretagna il 27 agosto sul British Medical Journal, che raccoglie i dati su bambini e adolescenti ricoverati in 183 ospedali britannici. Tale studio evidenzia che i bambini e gli adolescenti rappresentano solo l’1% o il 2% dei casi di ricovero per Covid19 e che hanno un minore rischio di infezione rispetto agli adulti. Per loro, nella stragrande maggioranza dei casi, questa infezione è blanda o asintomatica, con pochissimi casi di morte (6 sui 151 bambini ricoverati, meno dell’1%, e tutti quanti con gravissime patologie preesistenti).
Notizie simili giungevano anche dalla lontana Cina già a gennaio/febbraio, come riporta una ricerca retrospettiva cinese pubblicata a luglio su Pediatrics: il 94,1% dei bambini infettati aveva superato la malattia senza problemi poiché era asintomatico o aveva dei sintomi lievi o moderati. Su 2351 casi sospetti o accertati, c’è stato un unico morto di 14 anni.
Se, però, dal punto di vista prettamente medico i più giovani ne escono “vincitori”, diversa è la situazione se la si va ad analizzare dal punto di vista psicologico: i danni interiori derivanti dalla quarantena e dall’interruzione improvvisa della routine scolastico-universitaria sono risultati davvero allarmanti.
Dall’indagine dello scorso giugno del Gaslini di Genova sullo stato psicologico dei bambini e degli adolescenti a 3 settimane di distanza dal lockdown sono emersi alcuni elementi critici riguardanti il loro stato emotivo, a prescindere dalla condizione psicosociale di partenza.
Il Professor Lino Nobili, direttore del reparto di neuropsichiatria infantile del Gaslini, ha riscontrato che nel 65% di bambini di età minore di 6 anni e nel 71% di quelli di età maggiore di 6 anni fino a 18 sono insorte problematiche comportamentali e sintomi di instabilità. Purtroppo, bloccati in casa e separati dai loro coetanei, i più giovani hanno dovuto fare i conti con una realtà molto più grande di loro che li ha senz’altro destabilizzati.
Interessante da analizzare è la differenza tra i vari sistemi adottati nei paesi Europei. Le scuole, infatti, in molte zone del vecchio continente hanno già aperto le loro porte tra aprile e maggio; in Svezia le scuola non hanno mai chiuso. E, nonostante ciò, non ci sono stati picchi epidemici o ricoveri in terapia intensiva dopo la riapertura delle scuole.
Inoltre, un report dell’Agenzia per la Salute Pubblica svedese a metà luglio ha mostrato che tra febbraio e giugno c’erano stati 1124 casi confermati di Covid19 fra i minori in Svezia, circa lo 0,05% dei bambini e degli adolescenti, esattamente la stessa percentuale della Finlandia che aveva adottato invece il lockdown. In compenso, però, gli scolari svedesi avevano una maggiore serenità a livello mentale.
Anche un recente studio pubblicato dal British Medical Journa,l che esamina i dati provenienti da diversi paesi, conclude che i bambini hanno minore probabilità di infettarsi rispetto agli adulti, contraendo una passeggera infezione alle vie respiratorie superiori.
Tirando le somme, è giusto sostenere al momento attuale che i bambini non sono super diffusori. E a tal proposito, si è propagato l’interrogativo su cosa fosse giusto fare. Non potendo negare l’evidenza mostrata dalle prove scientifiche, è legittimo esporre il dubbio riguardante misure così estreme, imposte anche a coloro che non hanno mezzi per opporsi.
Altro aspetto da portare alla luce è che la maggioranza dei positivi di oggi sono quasi tutti asintomatici, potenzialmente inoffensivi. Lo stesso immunologo statunitense, il Dott. Anthony Fauci, membro eminente della task force contro il coronavirus, ha dichiarato: “l’unica cosa di cui storicamente le persone devono rendersi conto è che, anche se c’è una trasmissione asintomatica, in tutta la storia dei virus respiratori di qualsiasi tipo la trasmissione asintomatica non è mai stata la causa dei focolai, il responsabile dei focolai è sempre una persona sintomatica, anche se c’è un raro caso di persona asintomatica che potrebbe trasmettere un’epidemia non è determinata dai portatori asintomatici”.
Di grandissimo impatto ma soprattutto di estrema chiarezza intellettuale per dimostrare nel pratico, cosa comporterà il rientro nelle scuole per i giovani, è stato un messaggio arrivato da un insegnante di scuola primaria il 2 settembre scorso: “dunque, oggi pomeriggio in videoconferenza si è svolto il corso di formazione anti-Covid sulle misure di sicurezza e applicazione del protocollo stilato dalla scuola in base alle normative dettate Dopo lunga delucidazione da parte del formatore medico che per un lungo periodo affiancherà la scuola del nostro distretto si è arrivati a una conclusione: che non si può lavorare. Fermi nei banchi a un metro di distanza, due dal docente, senza mascherina se non si muovono, con mascherina se si avvicinano di pochi centimetri a chiunque altro; i fazzolettini con i reflussi organici buttati in appositi contenitori, tutto il materiale didattico, ma anche i giocattoli alla materna, sarà esclusivamente a uso personale, sarà vietato lo scambio anche temporaneo. Ogni verifica in fogli ogni volta consegnata sarà raccolta con i guanti dal docente che la dovrà mettere in quarantena per almeno 48 ore prima di correggerla, ogni libro prestato o preso in biblioteca pure, tutte le superfici continuamente sanificate. È preferibile che ogni docente abbia un sacchetto proprio per i gessetti della lavagna, le finestre aperte ogni ora anche in caso di pioggia, l’impianto di riscaldamento continuamente controllato, la ricreazione fatta da seduti in classi se piove, fatta a gruppi a distanza di un metro, vedrà l’alunno ingurgitare velocemente lo snack e rimettersi la mascherina, fermo senza agitarsi e senza alzare la voce. I bagni sanificati a ogni passaggio. Non si potrà alzare la voce, troppi dropplet, non si potrà cantare, suonare uno strumento, andrebbe sanificato, usare un pc della scuola per lo stesso motivo. Non si potranno fare attività di laboratorio, non si potrà lavorare a coppie o a gruppi, la lezione sarà solo frontale, la peggiore per i ragazzi con bisogni educativi speciali, per non parlare degli iperattivi inchiodati ai banchi fino allo sclero. E con i bambini disabili ne vogliamo parlare? Poi, se sarà istituita la saletta Covid, dove in caso di sintomi sospetti l’alunno sarà portato in attesa che i genitori vengano a prenderlo mentre il referente Covid avviserà la ASL e cercherà di risalire alle frequentazioni pregresse. Con l’influenza ti voglio, i sintomi sono uguali. Lo starnuto nel gomito, nel fazzoletto, ma i più piccoli lo ricorderanno? I maestri non potranno soffiare il naso ai più piccoli, non potranno abbracciare i bambini che piangono, e i bambini a scuola piangono, anche alle medie. Tutto è distanza, sempre; per le attività motorie svolte senza mascherina le distanze dovranno essere di 2 metri, ma assolutamente sono banditi sport di squadra, di gruppo e di contatto. I ragazzi eseguiranno il corpo libero fermi sul posto, la palestra sarà sanificata dal personale ATA a ogni cambio ora, la docente se adoperati sanificherà gli attrezzi. Vi saranno percorsi, cartelli segnaletiche, tutto nel più rigido controllo, sanzionato se si rendesse necessario. Il mio è un istituto comprensivo e non c’è stato un solo docente di ogni ordine, materna, primaria e medie, che non abbia alzato gli occhi in modo miserevole esclamando: ma come si lavora 6/8 ore così? I due preposti alla formazione, pur comprendendo il nostro sgomento, in tono monocorde ripetevano che questa è la normativa per tutti e che la differenza e un’azienda è abissale ma la normativa è uguale. Chi per un solo attimo ha pensato che tornare a scuola sarebbe stato come prima non si illuda, seguono 44 pagine con i dettagli di terapia intensiva”.
Brutale e diretto, chiaro e di facile comprensione, questo messaggio fa comprendere anche a coloro che non sono del mestiere.
Non è sbagliato sostenere, alla luce di quanto letto in questo messaggio, che questa non è scuola.
Impossibile negare che alcune richieste per i bambini possano risultare quantomeno ambigue e in grande contrapposizione con le norme alle quali sono stati abituati.
Chi ne ricava allora un vantaggio? Loro sicuramente no. Grande è la probabilità allora che questi ragazzi inizieranno ad odiare la scuola.
Per l’OMS è maltrattamento dell’infanzia quello che ha come conseguenza un danno reale o potenziale alla salute del bambino, alla sua sopravvivenza, sviluppo o dignità, nel contesto di una relazione di responsabilità, fiducia o potere. Non è giusto privare un bambino di tutto ciò che gli permette una crescita sana e felice, soprattutto nel contesto della scuola, che ha come scopo quello di sviluppare le infinite potenzialità degli studenti. Tutto questo è contrario a ogni principio pedagogico, psicologico e umanitario.
Se è vero poi che il rischio zero esiste, che senso ha impiegare risorse sanitarie e finanziarie enormi?
Come insegnatoci dall’OMS, la salute è un completo stato di benessere fisico, mentale e sociale: non è la semplice assenza di malattia. La salute è un diritto, non un obbligo; va protetta nella sua globalità; non c’è salute senza benessere psicologico.
Resta poi un altro punto delicato da esaminare: l’uso prolungato delle mascherine. Esso ostacola sicuramente la comunicazione verbale e non verbale, che rappresenta più del 90% della comunicazione umana, passando in misura consistente attraverso la mimica facciale.
È innegabile che ci possa essere una compromissione di alcune fondamentali competenze emotive o sociali, indispensabili per una normale forma di relazione. La ridotta capacità di riconoscimento delle espressioni facciali è correlata a diversi studi riguardanti addirittura la schizofrenia, così come il deficit della mente fino ai disturbi dello spettro autistico.
Magari l’utilizzo della mascherina non porterà a diagnosi così pesanti, ma è indubbio che essa soprattutto in fase di crescita è un fattore limitante per l’aspetto empatico ed emotivo dei bambini, che reputano fondamentale anche un semplice sorriso.
Inoltre, il distanziamento fisico, altra misura restrittiva imposta a tutti i cittadini, inibisce la socialità che è alla base di ogni rapporto umano. Bloccare un impulso naturale come la socialità, che è connesso alla produzione di ossitocina, l’ormone dell’amore, può generare, come effetti a breve termine, sentimenti di disperazione, incertezza, tristezza o insicurezza, disturbi emotivi, disturbi del sonno, irritabilità e agitazione psicomotoria, sindromi depressive, disturbi d’ansia, e stress; lungo si possono prevedere, sulla base delle ricerche disponibili sull’isolamento sociale, depressione, diminuzione della competenza empatica, ecc.
Come già sottolineato prima, non essendosi mai verificato una situazione simile a memoria d’uomo, dati certi su ciò che sarà la vita futura non si possono fornire.
Certamente, non ci sorprenderanno possibili incrementi di depressioni e sintomi di instabilità psichica di varia natura.
Proviamo ad immedesimarsi nei bambini di oggi, soli nel loro banco, senza vedere in faccia i compagni né le maestre, con la costante ansia che un semplice starnuto possa costare l’allontanamento dalla classe. Non bisogna stupirsi se i bambini si mostrano restii nel voler andare a scuola, che non rientrerà nei loro ricordi migliori.
Da non dimenticare che la sofferenza psicologica dei bambini può manifestarsi a scoppio ritardato e in modi non proprio semplici da individuare. Secondo un’importante ricerca statunitense guidata dal professor Loades, l’impatto della solitudine sulla salute mentale potrebbe manifestarsi dopo molto tempo.
Un reale bilancio sull’impatto che il CoVid19 ha causato, sarà possibile solo tra diversi anni.
Appare lecito provare a proteggere i più piccoli dal vero pericolo, che per loro non è il virus: la perdita di un’infanzia normale e di una socialità spontanea, indispensabili per il loro sviluppo psicofisico.
Potrebbe risultare inutile, a questo punto, inserire nelle scuole lo psicologo, se manca la normalità, la serenità e la gioia, in una parola la vita.
Tuttavia, in questo clima di incertezze e dubbi c’è un grande insegnamento da trarre: il ruolo dei genitori assume ancora più importanza. Essi possono fare molto per i loro figli, incoraggiandoli nei momenti bui e trasmettendo loro sempre positività e buon umore. Inoltre, possono insegnare loro come proteggere la propria salute con uno stile di vita più equilibrato e mettere sempre la salute al primo posto rispetto a cose più futili. In ultimo, possono provare ad insegnare loro ad ascoltare la propria voce interiore, a non trascurare quelle sensazioni più intime che talvolta i bambini hanno imbarazzo a mostrare. In un periodo come questo, in cui ci si sente un po’ omologati, è importante saper dare al bambino una propria identità personale.
Nulla è perduto, dinanzi alle difficoltà ognuno di noi può ancora più coraggiosamente dare il meglio di sè.
La vita degli esseri umani, fragili nel corpo e nel cuore, proprio quando il dolce tepore della regolarità di una vita moderna ci vizia e intorpidisce, si colora ancora una volta di scontentezza, inondata da una “irregolarità” potente.
Questa irregolarità, chiamata pandemia, per i suoi deleteri effetti mentali è paragonabile ad una guerra. Si tratta, in effetti, del contrario di quello a cui siamo avvezzi nelle nostre quotidianità blande e sicure. Per questo, il virus scompagina e devasta.
La portata di questa irregolarità si acuisce ancora di più per la confortevolezza della nostra generazione, quella dei digitali nativi.
A cura di Pino Attanasio