Il traffico illegale di organi, chiamato “mercato rosso”, è uno dei crimini ancora troppo “sommerso” ma purtroppo diffuso nel mondo, con centri attivi soprattutto in Medio Oriente e nel Nord Africa. In queste zone sconvolte da guerre, povertà, emergenza umanitaria, negazione dei diritti e sfruttamento dei migranti, trovare donatori di organi in cambio di soldi per la sopravvivenza è purtroppo facile.
La rete di criminalità che gira intorno a questo traffico a livello globale è preoccupante, tanto che proprio nel luglio 2020 si è svolta una riunione di esperti voluta da OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), Alto Commissario delle Nazioni Unite e Organizzazione Mondiale della Sanità. Lo scopo è stato discutere sui recenti sviluppi e sulle lacune politiche nella lotta alla tratta di esseri umani per la rimozione di organi.
Il quadro emerso è poco confortante. I dati sul numero di vittime di questa forma di sfruttamento restano lacunosi. L’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine indica, inoltre, che il traffico illecito è perpetrato da criminali in grado di operare per periodi prolungati prima di essere catturati.
Il commercio illegale è spesso transfrontaliero. Un aspetto, quest’ultimo, che rende molto più difficile per gli investigatori e i pubblici ministeri rintracciare tutte le componenti del crimine ed esercitare la giurisdizione sui casi, che spesso coinvolgono numerosi Paesi (la vittima viene da uno Stato, il broker da un altro, il reclutamento può svolgersi in un terzo, l’intervento chirurgico è a volte eseguito in un quarto, con un destinatario in un altro Paese ancora).
Una catena commerciale complessa e ben strutturata, quindi, che ha trovato terreno fertile in diverse zone del mondo. Le stime indicano che il numero globale di trapianti commerciali – trapianti che comportano un pagamento per l’organo e quindi illegali – è di circa 10.000 all’anno, pari al 10% di tutti i trapianti. Nella maggior parte dei casi, l’organo venduto è un rene.
Il giro di affari è rilevante, stimato tra 600 milioni e 1,2 miliardi di dollari fino allo scoppio della pandemia.
Focalizzarsi sul traffico illegale di organi in Medio Oriente e in Nord Africa piuttosto che su altre zone del mondo interessate da questo sfruttamento – come la Cina o l’America Latina – significa innanzitutto fare luce su un mix drammatico di povertà, abusi, guerra, che caratterizza da troppo tempo queste aree. Qui, per esempio, gli oltre 5 milioni di rifugiati sono le prede più facili da adescare per promettere denaro in cambio di organi.
Dalla Turchia alla Siria, fino allo Yemen, alla Libia, all’Iraq e all’Egitto, la rete di disperati donatori e di broker senza scrupoli racconta storie di disumanità e di crimini che ormai vanno avanti da anni, con pochissimi progressi a livello giuridico.
Nel mirino c’è soprattutto l’Egitto, considerato il vero centro del “mercato rosso” dell’intera regione. Nel 2010 il Paese ha adottato il Transplantation of Human Organs and Tissues Act proprio per arginare il vergognoso fenomeno della vendita di reni e fegati che stava preoccupando il Governo, soprattutto per la reputazione nei confronti dei turisti stranieri.
Tuttavia, nonostante il divieto legislativo sul commercio di organi e l’istituzione di un comitato di sorveglianza incaricato di applicare le rigide disposizioni, i trapianti e i traffici illegali di organi sono continuati. Non è stata utile nemmeno la legge interna sulla lotta alla tratta di esseri umani, nella quale si include la rimozione di organi come una forma illecita di sfruttamento.
Una delle ultime operazioni contro questo grave crimine in Egitto risale al febbraio 2020, a testimonianza di quanto il commercio illegale sia ancora fiorente. I servizi di sicurezza hanno arrestato i membri di un giro criminale coinvolto nella tratta di esseri umani e nella vendita di organi, scoprendo un trapianto di reni illecito al costo di oltre 1.500 euro.
Le vittime dei broker egiziani sono da sempre innanzitutto i migranti in arrivo dal Sudan. Trovare condizioni umane e prospettive per una vita decente non è affatto scontato per i sudanesi che entrano in territorio egiziano.
Così, i reni sono spesso le risorse più preziose in loro possesso. Con limitate opportunità di lavoro nel settore formale o informale, il commercio di organi diventa l’unica fonte di reddito disponibile per tanti. Per altri, rappresenta un’opportunità per migliorare le limitate aspettative di vita.
Quando soffri e sei a corto di soldi e devi aiutare i tuoi figli, puoi donare il tuo rene. È meglio vendere un rene che vivere per strada. Devo aiutare me stesso. Questo è stato l’unico modo per me. Ma i soldi sono finiti dopo sei mesi.
Parole sconcertanti ma reali, che alcuni testimoni hanno rilasciato anni fa per uno studio sul traffico di organi in Egitto tra i rifugiati sudanesi. E poi ci sono le storie sulle false promesse fatte dai mediatori ai migranti per attraversare il Mediterraneo e andare in Europa.
Come è successo a Dawitt, fuggito dall’Eritrea all’età di 13 anni per evitare la coscrizione forzata al servizio militare.
La sua famiglia lo ha aiutato a pagare i trafficanti per viaggiare attraverso il Sudan e arrivare in Egitto. Nel disperato tentativo di attraversare il mare verso l’Europa, ha cercato invano un lavoro regolare. Poi ha incontrato un uomo sudanese che gli ha indicato una strada semplice per guadagnare denaro: vendere un rene. L’accordo era di 5.000 dollari, una cifra importante per chi non ha nulla, accompagnata dalla promessa di un viaggio verso la Sicilia.
Il giovane eritreo, sottoposto a trapianto, non ha mai visto soldi, né è riuscito a imbarcarsi. La sua è una storia esempio di come i broker si stanno sempre più avvicinando ai migranti con l’offerta di un passaggio in Europa in cambio della donazione di un organo. Ora che le rotte dall’Egitto sono meno trafficate, lo stesso meccanismo si presenta in Libia, da dove invece le partenze dei migranti sono numerose.
Quello libico è un Paese molto attivo a livello di traffico illecito di organi. Qui il “mercato rosso” può infatti contare sui tanti rifugiati costretti nei centri di detenzione e pronti a tutto, anche a donare un rene, per avere i soldi sufficienti per una traversata. La Libia, con i suoi numerosi rifugiati provenienti dall’Africa sub-sahariana e dal Corno d’Africa in cerca di fortuna in Europa, è un hub della tratta di esseri umani (anche per il commercio di organi), facilitato dalla mancanza di legislazione contro tali atti illeciti.
Stessa spirale di sfruttamento ha coinvolto lo Yemen. Già prima dello scoppio della più grave crisi umanitaria nella quale il Paese versa oggi, la nazione era una delle più povere dell’area. Così, yemeniti disperati si sono recati in Egitto per vendere un rene nel tentativo di guadagnare somme anche irrisorie che li avrebbero fatti andare avanti, almeno per un po’.
Questo traffico ha visto un declino nel 2014 e 2015, quando il Governo egiziano ha iniziato a negare l’ingresso ai cittadini yemeniti, ma ci sono ancora molti rifugiati dallo Yemen intrappolati in Egitto. Per disperazione, centinaia sono stati costretti proprio a vendere reni.
In un’inchiesta dello scorso anno di Al Jazeera, Nabil al-Fadhil, capo dell’Organizzazione yemenita per la lotta alla tratta di esseri umani (chiusa dalle forze Houthi nel 2018) ha testimoniato almeno 1.000 casi di vendite di organi nel 2018, con il dubbio che ce ne fossero decine di migliaia non confermati.
Quasi tutte le persone coinvolte avevano venduto i loro reni, per poi tornare in Yemen come mediatori alla ricerca di altre vittime.
Storie simili giungono dai rifugiati siriani in Turchia. Anche qui, la vita per i circa 3 milioni di richiedenti asilo fuggiti dalla guerra in Siria è ai limiti della sopravvivenza. Per questo trovare persone disposte a vendere un rene non è difficile.
Gli annunci si leggono direttamente su Facebook, come testimoniato da un reportage della CBS. Tra le testimonianze c’è quella di Abu Abdullah, fuggito dalla Siria, metalmeccanico in Turchia, con un guadagno di soli 300 dollari al mese.
La situazione economica critica lo ha spinto ad accettare l’offerta di un broker di organi di vendere uno dei suoi reni per 10.000 dollari, come annunciato via web. Dopo l’operazione, però, la cifra ricevuta è stata solo la metà e il mediatore è scomparso.
Anche Umm Mohammed, siriana con tre figli, ha venduto metà del suo fegato per 4.000 dollari, così ha potuto pagare l’affitto di casa.
È illegale acquistare e vendere organi in Turchia, e i donatori normalmente devono dimostrare di essere un membro stretto della famiglia del destinatario. Quindi, in casi come questi, i rifugiati disperati usano documenti contraffatti, alimentando un altro giro illegale, quello della corruzione.
In Turchia la vendita di un organo può avere un profitto anche di 145.000 dollari.
Lo scenario non cambia in Iraq. Il Paese è emerso come un focolaio di tratta di esseri umani, compresi il commercio di organi, il lavoro forzato, l’abuso di minori e lo sfruttamento sessuale, secondo l’Osservatorio iracheno per le vittime della tratta di esseri umani.
Durante il periodo tra febbraio e luglio 2019, l’ente ha documentato 27 reti di trafficanti di esseri umani. La maggior parte di esse operano indisturbate in Kurdistan, dove attirano le vittime per prelevare i loro organi.
Mi hanno promesso 6.000 dollari per il mio rene, ma ne ho ricevuti solo 1.250, parte dei quali li ho spesi per il trattamento post-operatorio e il resto per ripagare i debiti della mia famiglia. Non mi è rimasto nulla.
Questa la testimonianza di una vittima del commercio illegale di organi.
Si stima che centinaia di iracheni abbiano venduto reni negli ultimi anni. In Iraq, gli organi ottenuti illegalmente possono dare un profitto anche di 20.000 dollari ciascuno, diventando quindi una fonte appetibile di guadagno per mediatori e bande di criminali.
Stando alle conclusioni del vertice OSCE di luglio, questa forma di tratta rischia di restare impunita a causa anche della difficoltà nel far parlare e confessare le vittime. Spesso sono migranti irregolari che temono di essere scoperti e quindi incriminati in forza delle severe leggi sull’immigrazione clandestina.
Occorre, quindi, trovare modi nuovi per far uscire allo scoperto le vittime del commercio di organi, anche tramite il coinvolgimento dei medici, ancora troppo complici. L’attribuzione della responsabilità penale ai broker e al personale sanitario criminale potrebbe essere una misura efficace per scoraggiare alcune di queste pratiche ed esercitare pressioni sui trafficanti, che ora operano per lo più inosservati.