Testo di Antonio G. DErrico
La violenza fa impressione, impaura gli animi onesti, è un gesto vile. Rende impotenti i giusti e esalta chi è già esaltato. Ma sentenziare senza un dubbio sui mandanti, su chi c’è dietro certe manifestazioni violente mi sembra che sia altrettanto vile, ipocrita, degno di chi è incapace di guardare alla realtà, mentre si limita a immaginarla, a fantasticarla, con il disgusto che le sue convinzioni gli suscitano apertamente nella voce e nell’espressione del viso. La guerriglia napoletana è stata a detta loro organizzata addirittura dalla camorra, poi da gruppi di fanatici fascisti, e poi chissà quali altre definizioni di specie umane trovano conferma nel loro animo.
Se non ci fosse anche la disperazione, a mio avviso, nessuno scenderebbe in piazza, organizzato dalla malavita. I napoletani non si lasciano organizzare da malavitosi. A volte la disperazione è talmente profonda, la sfiducia è così forte e presente nei pensieri annebbiati dalla paura del futuro che si sente il bisogno di scendere in piazza, per far sentire la propria voce, il proprio disagio. E la violenza può scattare per tutta la tensione che la piazza genera. Dove trova posto ogni cosa, anche la violenza dei violenti, ma non solo, io credo. C’è anche, e soprattutto, la disperazione di chi ha paura che una nuova chiusura totale delle città, dei locali possa mandarlo alla rovina, dopo una prima rovina che ha dovuto subìre nella prima metà dell’anno. Credo che bisogna individuare i violenti e gli infiltrati, se c’è una componente di questo tipo a cui dare un volto, ma bisogna dare risposte serie a chi violento non è, anche se la disperazione è tale che può spingerlo verso la follia. C’è chi ha perso la vita, chi se l’è tolta per paura del futuro, che gli sarà sembrato insostenibile in tempi di coprifuoco.
Ritengo che si debba guardare a fondo nella realtà e individuare le verità, senza fare ipotesi su Napoli e sui napoletani, che quando si parla di loro non mancano mai, senza nessuna verifica. Bisogna abbracciare una realtà che ha bisogno di risposte concrete e non di promesse. Le piccole aziende soffrono le chiusure a Napoli come a Milano. Anche a Milano hanno alzato la voce, per adesso. Hanno chiesto che non si chiudessero alle 11 della sera i locali. Hanno chiesto che venisse concesso almeno di allungare l’orario fino alla mezzanotte. Ma nessuno ha dato ascolto alla richiesta. Le richieste non ascoltate, alla lunga, possono diventare manifestazioni gravi, di persone che sentono il peso di un fallimento prossimo. Bisogna dare risposte a giovani imprenditori che si sono indebitati per costruire qualcosa che garantisse una sicurezza a sé e alle loro famiglie, minacciati da quattro mesi di chiusura forzata, adesso hanno cercato di riprendersi, ma di nuovo il pericolo della chiusura incombe. Adesso non possono arrendersi, non possono accettare, devono agire e mostrare il loro disappunto. Devono cercare il coraggio della parola che abbia valore, senza altri gesti. Ma ascoltateli! Mi sembra sia utile a tutta la società che crede nella giustizia e non nella violenza. Ascoltiamoli, senza giudicarli. Cerchiamo le verità, quelle necessarie, quelle possibilità che possono farci credere ancora di essere una collettività e non dei gruppi che appartengono a strati della società. A me quest’idea di umanità mi spaventa, perché è vuota di valore, povera di sentimenti.