A cura di Carlo Ferrajuolo
Lulù è una “ragazzo” napoletano effeminato che, dopo un’infanzia già difficile ( bullizzato dai compagni di giochi), vive un’esistenza piuttosto complicata e dissoluta. La sua passione è il canto, ma per ora si può esprimere artisticamente solo in alcune serate nel nightclub Moonlight gestito dalla camorra con a capo il suo boss-compagno. Una notte è testimone involontaria di un omicidio, commesso proprio dall’uomo con cui ha una relazione clandestina: a questo punto la posizione di Lulù si fa piuttosto scomoda e, così, un suo amico poliziotto (Cecchetto) la costringe a cambiare identità per rimanere nascosta e lontana da ogni pericolo. L’assassino continuerà a darle la caccia, ma mai potrebbe immaginare che la cantante da night si sia rifugiata in un convento di suore. Qui Lulù viene presentata dalla madre superiora alle altre sorelle come suor Gina.
L’abito indossato inganna tutte, ma non frena di certo il carattere esuberante di Lulù, che deve fare i conti un le regole richieste dalla preghiera e l’impossibilità di dedicarsi a qualunque tipo di vizio. A questo si aggiunge la diffidenza della Superiora, che vede in lei una rivoluzionaria dall’influenza devastante per le altre religiose. Con l’arrivo di Lulù di cose ne cambiano davvero: le suore scoprono il gusto della trasgressione, recandosi a mangiare un panino in un locale, il gelato in giardino, uscire per il paese San Pietro a Paternò, ma soprattutto danno un senso nuovo al loro coro clericale. L’anima musicale neomelodica di Lulù le contagia: le sorelle, fino a quel momento sempre stonate, capiscono che per cantare bene occorrono regole fondamentali.
Anzitutto bisogna sapersi ascoltare e ragionare da gruppo; quindi ci si deve lasciare andare, liberandosi di ogni vergogna. Così il coro improvvisamente ottiene successo, tanto da fare raccogliere numerose offerte alla chiesa, che sembrava destinata a chiudere, e ottenere un invito ufficiale a cantare nientemeno che per il Papa. Nascono amicizie, riflessioni su un modo di pregare molto spesso egoista; una novizia in crisi di identità capisce di doversi dare il tempo necessario per scoprire la sua vera strada. D’altra parte, la vita del convento sembra poter restituire una Lulù completamente nuova, in cerca di una stabilità affettiva che le consenta di realizzare tutti i suoi sogni.
Che chi canta preghi due volte, lo diceva già Sant’Agostino. È un’idea che emerge molto bene da questo musical ormai storico, che mette a confronto la camorra con la fede religiosa. La seconda non ha certo bisogno della prima, che invece necessita di rivolgersi alla preghiera per evitare pericoli, ma Suor Gina farà uscire dal teatro con un’immagine della cristianità certamente diversa da quella canonica. L’esuberanza, quando non intacca i voti di carità, è tutt’altro che deplorevole, tanto più se permette di farci scoprire il lato umano del divino. A coinvolgere il pubblico non saranno solo le straordinarie canzoni neomelodiche, da “Gesù Cri” di Nino D’Angelo (rifacimento napulegno di Let It be” dei Beatles) a “Tu tu tu ta ta ta” di Kekko Dany e”Gesù, S. Anna Giuseppe e Maria” di Cinzia Oscar, e la bravura di interpreti e ballerini, ma anche una storia che, nonostante sia ormai nota a tutti, sa sempre raccontare qualcosa di nuovo. E poi quando alla regia c’è Rosario Sannino, gli spettacoli hanno sempre un tocco in più di attualità, ironia ed emozione rispetto al testo originale. Aspettate di vedere l’ingresso di Papa Francesco nel finale, prima di pensare che lo spettacolo sia concluso e la commozione non vi abbia ancora abbracciati.
Il musical-commedia è in un esilarante susseguirsi di situazioni comiche e grottesche che hanno divertito il pubblico del Teatro De Rosa che ha assistito alle lodevoli interpretazioni. Per chi non l’avesse capito, non andare a vedere Suor Gina è un peccato mortale. Complimenti al vocal-coach Pasquale Ambrosio che ha diretto il coro delle suore, alle coreografie di Nastassia Avolio.