A cura di Maria Rosaria Marcelli
Esce domenica 18 febbraio il singolo “La catastrofe in me” che anticipa il secondo disco dei Miqrà: Giovanni Timpanaro, Gaetano Santagati (anche produttore artistico), Mario Giuffrida e Alberto Mirabella. A guidarci in questo singolare e potente viaggio musicale è Giovanni Timpanaro, frontman della band siciliana, formatasi nel 2012 e prodotta dall’etichetta discografica Jonio Culture.
Da quale suggestione nasce “La catastrofe in me”, il brano che anticipa l’uscita del vostro disco?
La sensazione da cui nasce il singolo è quella dell’apnea, di una vera e propria mancanza d’aria, complice sicuramente il periodo storico che stavamo vivendo perché, se escludiamo i festival, venivamo da anni in cui non si suonava in giro e le nostre chitarre prendevano polvere. Prima di tutto da un punto di vista artistico ma, come credo tutti, anche da un punto di vista personale, si è sentito il bisogno di prendere una strada: o andare giù o, come è capitato a noi arrangiando “La catastrofe in me”, abbiamo cominciato a percorrere la distanza che ci avrebbe riportato in superficie. Questo brano per noi è un grande respiro dopo una lunga apnea e l’immagine, una foto di Grazia Leanza, nella sua semplicità, racconta qualcosa. Da un lato racconta il nostro ritorno al mondo urbano perché gli ultimi singoli avevano qualcosa di mitologico mentre adesso abbiamo ripreso le chitarre elettriche e poi i binari hanno un fascino unico, ovvero quello di intersecarsi, continuare parallelamente e reincontrarsi poi alla stazione successiva.
A quale tipo di viaggio ci introduce questo singolo? Che album dobbiamo aspettarci?
È stata abbastanza dura scegliere il singolo perché questo disco sarà fatto di undici tracce e sono tutte realmente diverse tra loro anche se legate da un filo conduttore. La tematica portante sono le storie che stanno sempre un passo indietro rispetto ai primi piani. È stato faticoso ma divertente lavorare sull’arrangiamento; siamo passati dai brani con tanta elettronica ai brani tipici delle nostre sonorità quindi con chitarre elettriche, basso, batteria fino a enormi parti orchestrali perché all’interno del disco abbiamo avuto il privilegio di una piccola orchestra tutta per noi e poi ci sono i brani acustici, quelli spogliati da tutto. Il viaggio non è stato deciso da noi, lo farà poi l’ascoltatore e potrà salvarsi o schiantarsi, questo non sta a noi stabilirlo. È un disco pieno di consapevolezza perché rispetto a tutti i lavori precedenti adesso avevamo una strada chiara in testa ed è quella che abbiamo seguito dal primo giorno di registrazioni. Gaetano Santagati ha curato per tutti noi la direzione artistica di questo lavoro e ciò che ne uscirà fuori probabilmente è la somma di tutte le piccole cose che in questi anni ci siamo portati dentro.
Quali sono state le difficoltà maggiori e quali, invece, i momenti più sublimi di questo periodo di lavorazione?
Quando fai una fatica discografica del genere è inevitabile che s’incontrino difficoltà magari legate alla cura delle minuzie piuttosto che alla registrazione in sé, però quando finisce un percorso tendi a cancellarle, a dimenticarle e a conservarti solo le cose che ti hanno fatto stare bene e sono tante in queste settimane, anzi mesi passati in uno piccolo studio ai piedi dell’Etna. Abbiamo visto il clima cambiare con noi, le stagioni cambiare con noi fino ad arrivare al prodotto finito e se dovessi scegliere un momento simbolico, probabilmente, sceglierei quello in cui abbiamo riascoltato il brano più semplice del disco che si chiama “Calicanto”. Quando è uscito fuori, con la partecipazione di musicisti veramente splendidi, era così come lo avevamo immaginato e quindi riuscire a trasportare con esattezza, come fosse una copia carbone, quello che era solo in testa e inciderlo su un disco è stata una sensazione unica. L’immaginario è diventato reale.
Come dove e quando porterete questo lavoro? Ci sono già delle date?
Per chi fa e intende la musica come la facciamo e la intendiamo noi e quindi lontano dal mondo del mainstream, dei numeri sui riproduttori musicali delle pubblicità o altro, l’esigenza è quella di suonare dal vivo. I dischi sono i blocchi di partenza di un percorso e il percorso è quello della musica live. Stiamo lavorando a un tour, cercando di capire dove andremo a suonare e quali date faremo in giro per l’Italia. Di sicuro cercheremo di suonarlo il più possibile e di attraversare in lungo la nostra penisola ma solo quando sarà ufficiale annunceremo tutte le date nello stesso momento.
La musica, e con lei tutto ciò che le gira intorno, è cambiata moltissimo negli ultimi tempi. In che stato è secondo te?
Ci ha sempre affascinato la sensazione del “controvento”, come, per citare De André, la direzione ostinata e contraria. Da un lato trovo giusto che, con il cambiare dei tempi, cambi anche il modo di comunicare. Sicuramente esiste una nuova forma di comunicazione per certi versi più diretta, più veloce, più fruibile a tutti e più comprensibile da tutti ed è quello che negli ultimi anni sta producendo numeri enormi. Mi va bene che sia così perché la musica non dovrebbe mai fossilizzarsi, però, al tempo stesso dico che non deve rischiare l’appiattimento. Sembra quasi che fare musica non sia abbastanza, come se tutti avessero l’esigenza di dire la propria al di fuori delle loro canzoni e non attraverso quelle. È ovvio che non posso generalizzare però è un po’ questo il panorama che ci si presenta; quello del musicista influencer e del musicista personaggio.
Come vi ponete in questo panorama?
Noi vorremmo comunicare attraverso la musica sapendo di stare fuori dalle logiche dei grandi numeri. L’appiattimento e la routine, come nelle nostre vite quotidiane, rischiano di ammazzarci anche da un punto di vista musicale mentre la curiosità dell’ascoltatore va stimolata. Altrimenti incoraggiamo prodotti uguali che sembrano usciti fuori da un’intelligenza artificiale. Per quanto mi riguarda ho sempre avuto una sola esigenza: quella di provare a raccontare e quindi prendo ispirazione dalle mie giornate, dalle storie degli altri. Per questo, ogni qualvolta posso, faccio un biglietto aereo e parto perché alcune sono storie prese in prestito, magari rubate da una persona vista solo una volta, da passanti sconosciuti e riesco a immaginare attraverso gli occhi di qualcun altro. Questo è il nostro modo di esprimere le emozioni, consapevoli però che circoscriviamo il nostro campo d’azione rendendo la nostra musica non facilmente fruibile a tutti. D’altronde, quello che abbiamo sempre voluto fare durante i nostri concerti o quando qualcuno mente le cuffie alle orecchie per ascoltarci, è trasmettere anche solo a una persona una di quelle sensazioni così forti. Provare a condividere quella storia e riuscire a farne parte insieme a chi ci ascolta, contemporaneamente.
Chi è e sarà l’ascoltatore giusto per questo disco?
Penso che questo disco vada ascoltato la sera quando si torna a casa e si mettono le cuffie, o meglio ancora la sera in macchina quando si fanno tanti chilometri perché, è inutile girarci attorno, è un disco che probabilmente va ascoltato da soli. L’ascoltatore giusto per questo disco e chi si sente solo. Però, per completare la risposta, voglio dire che sentirsi soli non è mai, per forza, solo esclusivamente il buio. Può anche essere un modo di avvicinarsi alle proprie debolezze, alle proprie fragilità e capire come insieme ad esse rinascere. Il disco vuole essere anche un accompagnamento a questo. È in fondo a tutti gli effetti un inno all’amore ed è per questo che abbiamo deciso di intitolarlo “Amor Vincit Omnia”.