Un vecchio palazzo veneziano, misteriosi cartelli contro i gatti e una rete di relazioni che si intreccia e si trasforma. È questo lo scenario in cui si muove “Vietato l’ingresso ai gatti”, il nuovo romanzo di Anna Bellini. Scrittrice, attrice, pittrice e medico, l’autrice dà vita a una storia corale dove l’assurdo si mescola al quotidiano, e la fantasia diventa strumento per raccontare l’umanità nella sua complessità.
In questo libro, come in tutto il suo percorso artistico, le discipline si fondono: la narrazione si colora di suggestioni teatrali e visive, la scrittura prende forma da intuizioni, ricordi e osservazioni della vita reale. Venezia, scelta come ambientazione al posto della sua Valpolicella, si rivela sotto una luce nuova: non più solo sfondo da cartolina, ma città viva, autentica, capace di accogliere storie e ispirare cambiamento.
Abbiamo intervistato Anna Bellini per farci raccontare com’è nato questo romanzo, come convivono in lei le diverse anime creative e quale messaggio vuole lasciare al lettore.
Scrivi, dipingi, reciti: come dialogano tra loro questi mondi nella tua produzione artistica?
Scrivere, dipingere e recitare sono mezzi diversi per raccontare storie, ognuno con la sua peculiarità. Al centro di queste storie c’è sempre l’Uomo con tutte le sue sfaccettature. In fondo un medico è un umanista e fare il medico con tutte le mie altre “arti magiche” a disposizione vuol dire avere più possibilità di capire l’umano e i suoi problemi.
C’è un personaggio o una scena del libro che è nato da un’esperienza teatrale o pittorica?
Alcuni personaggi del libro ricordano i caratteri di alcune commedie di Goldoni e la Venezia che fa da sfondo può benissimo essere quella dipinta da Canaletto. Ma l’ispirazione di personaggi e luoghi viene da dentro. Dai miei vissuti. Dai miei giri per Venezia. Dai rapporti con la gente. Vivo in una corte in Valpolicella e i miei vicini e le loro storie sono i reali ispiratori di questo romanzo. Ambientato a Venezia invece che in Valpolicella perchè vorrei che Venezia, che amo, fosse vissuta da chi legge in maniera diversa: non solo come meta turistica frettolosa ma come patrimonio di storia, arte e cultura.
L’arte per te “fa sembrare la vita migliore dell’arte”. Come si riflette questa convinzione nel modo in cui scrivi?
“L’arte è quella cosa che fa sembrare la vita migliore dell’arte” è una frase di uno sconosciuto che ho trovato sulla vetrina di una libreria a Parigi. Mi è piaciuta un sacco e l’ho fatta mia. Ogni espressione artistica migliora la nostra vita. Quindi scrivere della vita consente di far vedere i lati migliori di questa. Almeno questo è quello che io tento di fare, in modo da proporre al lettore qualcosa che possa tradurre nel suo quotidiano. In questo libro è la collaborazione con gli altri, il conoscere chi ti vive accanto, l’elaborare strategie comuni per risolvere comuni problemi.
Quando inizi a scrivere una storia, segui una scaletta o lasci che sia l’intuizione artistica a guidarti?
A scuola mi avevano insegnato che prima di scrivere un tema bisogna scrivere la traccia. Sì scrivo una scaletta che poi non seguo quasi mai. Soprattutto non ne seguo l’ordine perchè ciò che metto all’inizio magari va meglio più avanti. Poi succedono cose, come in questo libro, che sovvertono l’ordine stabilito. Qui a un certo punto è comparso un gatto che io non avevo previsto e da quel momento ho dovuto fare i conti con lui. E con loro, perchè dopo il primo ne sono arrivati altri. E i gatti si sa sono invadenti, impiccioni e un po’ magici. E anche il libro ha dentro un po’ di magia . Come ogni romanzo che voglia parlare al cuore dei lettori.
“Vietato l’ingresso ai gatti” è un romanzo corale: il tuo lavoro di attrice ti ha aiutato a dare voce a personaggi così diversi?
È un romanzo corale di sicuro. Non posso dire quanto la donna di teatro abbia influenzato la scrittrice o quanto la pittura sia importante o la medicina stessa. In realtà io sono tutte queste donne insieme quindi non so mai chi influenzi chi. Ma il risultato è quello che conta e spero sia un buon risultato.