Un vero e proprio viaggio attraverso emozioni, immagini e suoni – L’île noire dei Fil Rouge Quintet

Non lo nego: avevo voglia di novità. A volte si ha la sensazione che la musica si sia abbastanza standardizzata, e che sia difficile trovare qualcosa di realmente nuovo, che sappia prendere le distanze dal passato. L’album L’île noire dei Fil Rouge Quintet è stato, in maniera inaspettata, la risposta a questo mio desiderio. La raccolta di brani si distingue fin da subito per la sua innata capacità di trasmettere qualcosa di unico e autentico. Ascoltando l’album, traccia dopo traccia, si viene letteralmente trascinati via, in un mescolarsi di introspezione e innovazione che va ben oltre ciò a cui siamo abituati.

 

I musicisti sono bravissimi, e chi ha composto i singoli brani ha un talento notevole, ma io prima vorrei soffermarmi sulle emozioni, che sono quel qualcosa in più che caratterizza l’album L’île noire. Ogni traccia ha saputo stupirmi, regalandomi una differente sfumatura di sensazioni. Le note sono posizionate in maniera quasi ipnotica, con il risultato di accompagnare l’ascoltatore in un viaggio emotivo, dove ogni singolo suono ha un suo specifico significato. Trovare una raccolta che sappia trasmettere una simile varietà di stati d’animo, e con una tale intensità, è davvero molto raro, e la cosa ancor più incredibile è che L’île noire riesce a raggiungere un simile livello in una maniera che oserei definire disinvolta.

Il merito probabilmente va in primis alle menti creative che hanno dato origine a questo inedito progetto: Manuela Iori, compositrice e pianista, e Maria Teresa Lionetti, autrice e cantante. Per completare il quintetto si sono uniti a loro Charles Ferris alla tromba e flicorno, Ettore Bonafé alle percussioni, e Michele Staino al contrabbasso. E poi due ospiti d’eccezione: Badara Seck in Les villes cachées e Javier Girotto in Tango romanesco.

Mi azzardo a dire, dopo averli ascoltati, che la loro è qualcosa di più di una semplice collaborazione musicale. Ho avuto l’impressione che ci sia una vera e propria comunione di spiriti artistici affini che si sono trovati, e hanno saputo valorizzarsi a vicenda.

Per quanto riguarda invece il genere è abbastanza complicato trovare una posizione per L’île noire. Le influenze sono molte, e provengono a volte da mondi molto lontani tra di loro. Possiamo trovare facilmente una base comune nei vari brani che compongono l’album, ed è il jazz, ma non mancano elementi che rompono il paradigma, dando un effetto imprevedibile e innovativo. Traccia dopo traccia il ritmo e il sound generano un senso di movimento continuo, rispecchiando l’essenza stessa di ciò che è la vita.

Certo è che si tratta di un album a tratti enigmatico, già dal nome. Cos’è questa isola nera che dà il titolo all’intero lavoro? Potrebbe essere una sorta di rifugio a cui fare approdo in quel grande oceano che è la vita? Osservando la copertina di L’île noire sembra che sia proprio così. Hanno optato per una illustrazione, una scelta atipica in questo periodo, ma che crediamo abbia avuto il suo effetto.

L’île noire non può essere considerato “solo” un album musicale. Per me è un vero e proprio viaggio attraverso emozioni, immagini e suoni. Il lavoro dei Fil Rouge Quintet per me è un grandissimo “sì”.

 

Francesco Simone