Edoardo Cerea: “La lunga strada” e il folk d’autore

Decisamente un percorso a ritroso dentro classici suoni del folk contemporaneo d’autore. Una canzone pop quella di Edoardo Cerea che attinge a piene mani dal passato, dalla proprio lunga strada di vita. Pulita, graffiante ai bordi la sua voce, suono che si affida al mestiere artigiano di soluzioni acustiche ed elettriche senza mai rifugiarsi in comode scorciatoie digitali. “La lunga strada” è un disco probabilmente figlio di anni sbagliati per le mode e le abitudini quotidiane… sempre accesa una luce a certi modi di fare musica.

Partiamo da una curiosità. Ci hai mai fatto caso che quando parliamo della vita trascorsa da una parte parliamo di una “lunga strada” e dall’altro di un tempo che è letteralmente “volato”? Come la mettiamo?

Ottima domanda, forse il titolo più corretto sarebbe stato “l’intensa e tortuosa strada” ma non suonava per niente bene. Certo spero di restare su questa terra ancora per un bel po’, purchè con una salute psicofisica accettabile, la longevità non è in assoluto l’unico parametro per valutare un’esistenza. La lunga strada non è altro che il tempo vissuto dal sottoscritto su questa terra fino ad oggi,e diciamo pure che più passano gli anni e più ho la sensazione di tempo “volato”.

Il tuo pop d’autore questa volta diventa assai roots, viscoso ai bordi. C’è tanta America o sbaglio? E qui penso anche molto al singolo “Il posto dove guardi”…

Le sonorità che avverti, prevalentemente dipendono dal contributo che ha dato il cantautore ferrarese Enrico Cipollini, che ha prodotto insieme a me l’intero album. Se provate ad ascoltare i suoi album noterete una forte impronta folk/blues. La nostra è stata una collaborazione davvero magica, l’intesa è stata una meraviglia, grazie anche al background di riferimenti che avevamo in comune. Sono cresciuto con il rock d’oltre oceano in gioventù e successivamente ho integrato il cantautorato italiano. Credo che la “fusione” si avverta bene all’ascolto dell’album.

Per te che significa “prendere consapevolezza”? Questo disco celebra la consapevolezza o ancor cerca di afferrarla?

Spesso dico che in questo album sono contenute una serie di riflessioni “momentaneamente definitive”.  Attraverso questo ossimoro voglio innanzitutto lasciare una porta aperta a future produzioni, ma anche cristallizzare sentimenti, emozioni e considerazioni che mi hanno accompagnato per tutta la vita. A 53 anni, quindi più o meno in quello che potrebbe essere il mezzo del cammin di nostra vita dei nostri tempi, ho avvertito l’esigenza di creare uno spartiacque che mi aiutasse ad archiviare,metabolizzare, e conservare una serie di cose dalle quali, poi, ripartire anche cercando nuovi stimoli. Un po’ come se volessi dirvi: “ Ecco, per tutto ciò che mi riguarda e che per me è importante, per ora questo è quanto”.

E ad un cantautore chiedo sempre: nel disco c’è l’uomo che sei o che vorresti essere?

Guarda, non credo ci si possa esprimere in maniera distante  da ciò che ci appartiene e ci viene meglio, quando lo capisci e lo interiorizzi definitivamente, allora trovi una serenità compositiva impagabile. Detto questo, la produzione di un artista dovrebbe essere  sempre il più veritiera e sincera possibile, anche se spesso parziale, nel senso che quasi nessuno tratta se stesso in maniera completa. Per questo motivo, si sbaglia sempre quando si crede di conoscere una persona in base alle sue opere.