Napoli – Avv. Riccardo Vizzino la peste suina in Calabria, Lucania e Campania una grave emergenza

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Le aeree che ricoprono il  Parco Nazionale dell’Appennino Lucano – Val d’Agri Lagonegrese, il Parco Nazionale del Pollino ed il Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni si trovano ad affrontare da svariato tempo una crescente e perniciosa emergenza legata alla proliferazione dei cinghiali e al consecutivo diffondersi dell’infezione virale definita come “ peste suina africana”. 

Al riguardo, sin da ora, si chiede ai vari sindaci delle aree interessate, in base all’ art. 217 del R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 che individua il Sindaco quale autorità sanitaria locale e  l’art.13 della legge 833 del 1978 e il 4° comma dell’art. 50 del D.lgs. 267 del 2000 confermativa della precedente normativa,  di adottare le idonee misure per scongiurare il verificarsi di ulteriori disagi sanitari.

In tale prospettiva, si ritiene doveroso procedere anche ad una petizione popolare per chiedere alle  autorità comunali delle summenzionate zone, in particolare ai Sindaci “di adottare idonei provvedimenti per la tutela della persona nelle zone montane di riferimento; di attivarsi subitaneamente per realizzare una fitta rete di controlli concreti, posti a difesa della distruzione della fauna selvatica; di avviare programmi di protezione ambientale utili all’incremento delle specie selvatiche della zona; di mettere in atto subitaneamente tutti i metodi ( es. barriere, strumenti di ostacolo, intralcio al passaggio….) atti alla protezione, idonei ad ostruire il passaggio e il massacro delle biodiversità nelle aree protette; di intraprendere in comunione con gli esponenti delle singole comunità montane specifici programmi atti alla ripresa delle specie selvatiche in via di estinzione nonché quelli di produzione locale; di avallare l’assunzione di giovani imprenditori e di porre in essere agevolazioni economiche per la costituzione di cooperative ai fini imprenditoriali; di attuare un piano di regolamentazione dell’attività della vendita della carne di cinghiale, sanzionando le sagre illegali e lo smistamento non dichiarato”.

 Tali animali selvatici, originari delle aree boschive, con tale proliferazione e con il consecutivo riscontro di casi concernenti la peste suina hanno determinato conseguenze degne di nota:  infatti, sono stati riscontrati  notevoli vulnus economici all’ambiente, all’agricoltura , alla sicurezza delle comunità locali. 

Tali danni si sono ripercossi in maniera pesantissima sia sul sottobosco che sull’economia paesaggistica, con vulnus particolarmente ingenti nei comuni di Viggianello, San Severino Lucano, Terranova di Pollino,  Mormanno e Rotonda. In pratica, in tali zone sono state deturpate e rese immangiabili le diverse coltivazioni di lamponi, mirtilli, rovi, olivelli spinosi, fragoline di bosco, nonché molteplici tipologie di funghi: tra cui in primis i cosiddetti “gallinacci”, configurando tra l’altro anche un grosso danno all’economia per i diversi venditori del luogo, le cui attività si basano sostanzialmente su tali coltivazioni. Inoltre l’infezione summenzionata risulta essere particolarmente contagiosa, tant’è che risulta configurarsi come un disagio anche per coloro i quali intraprendono percorsi di trekking nel territorio in esame.

Al riguardo, la presenza del virus nel sangue dura dai 4 ai 5 giorni; in tale prospettiva il virus circola associato ad alcuni tipi di cellule del sangue, causando la sintomatologia che conduce inevitabilmente al decesso dell’animale, spesso in tempi rapidissimi.

In primo luogo, gli animali che superano la malattia possono restare portatori del virus per circa un anno, giocando dunque un ruolo fondamentale per la persistenza del virus nelle aree endemiche e per la sua trasmissione.

In secondo luogo, bisogna rammentare che tale virus è dotato di una buona resistenza in ambiente esterno e può rimanere vitale anche fino a 100 giorni sopravvivendo all’interno dei salumi per alcuni mesi o resistendo alle alte temperature. Nel sangue prelevato è rilevabile fino a 18 mesi.

L’eccessiva presenza di selvatici rappresenta un rischio per l’agroalimentare italiano, visto che proprio nei piccoli comuni sotto i 5 mila abitanti «si concentra il 92% delle produzioni tipiche nazionali, secondo uno studio di Coldiretti, con ben 270 dei 293 prodotti a denominazione di origine (Dop/Igp) italiani riconosciuti dall’Unione europea».

 La proliferazione di tale specie, percepita con maggiore intensità nell’area del Parco Nazionale del Pollino può essere attribuita a diversi fattori: uno dei principali è l’assenza effettiva di predatori naturali. Negli ultimi decenni, la riduzione della popolazione di lupi e altri predatori ha permesso ai cinghiali di proliferare senza controllo. Inoltre, la caccia selettiva, che spesso mira a eliminare gli esemplari più grandi, ha favorito la crescita della popolazione di cinghiali giovani e riproduttivi, amplificando ulteriormente la portata di tale specie.  

Disagi di non poca indifferenza sono gli impatti sulla flora e sulla fauna: infatti, la presenza e la proliferazione di tali esemplari hanno causato danni significativi all’ambiente paesaggistico della Calabria. Essi si nutrono di radici, tuberi, funghi e vegetazione, distruggendo le coltivazioni agricole e depredando le risorse alimentari di altre specie animali. Questo comporta un impatto negativo sulla biodiversità locale, minacciando la sopravvivenza di piante e animali che dipendono da determinati habitat.  

A ciò bisogna sommare anche il fattuale  e consecutivo danno all’agricoltura e alla qualità della stessa: l’agricoltura calabrese, punto focale dell’economia regionale, è stata fortemente colpita dalla circostanza in questione. In particolare, analizzando le dinamiche del caso, si è notato che i cinghiali “scavano” il terreno in cerca di cibo, danneggiando permanentemente le colture e causando perdite economiche considerevoli per gli agricoltori, durante tale attività  si ritrovano a rilasciare batteri e agenti patogeni relativi alla summenzionata infezione virale, i quali molto spesso vengono trasmessi ai prodotti coltivati. In particolare, i vigneti, gli uliveti e i frutteti sono spesso presi di mira da tali esemplari, causando la distruzione delle piante e la perdita di raccolti, configurando in tal modo il duplice danno, economico ed alimentare. 

Secondo recenti stime dell’ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – i cinghiali nel nostro Paese sarebbero 2,3 milioni, vale a dire un cinghiale ogni 26 abitanti circa che mettono a rischio la salute e la sicurezza degli italiani con un incidente ogni 41 ore causato dalla fauna selvatica.

Tuttavia, l’elenco delle criticità non termina qui, infatti tale circostanza in esame risulta configurarsi anche come una reale minaccia per la sicurezza pubblica.

Tali animali, portatori di peste suina, possono vagare nei centri abitati, entrare nelle proprietà private e addirittura attraversare le strade principali, aumentando il rischio di incidenti stradali. Per non parlare dell’ipotetico danno emergente nei confronti dell’industria suinicola e l’eventuale trasmissione dell’infezione agli animali domestici. Al riguardo e per mero scrupolo informativo si riporta il dato secondo cui risultano in forte aumento i casi di tale infezione virale, in particolare nelle zone del Nord Italia.

In ultima sede, tali situazioni di disagio determinano implicazioni da attenzionare per la salute umana , ulteriori rispetto a quelle fin ora delineate  : infatti, essi possono trasmettere malattie come la tubercolosi e la leptospirosi, che possono infettare sia gli animali che gli esseri umani. Ciò solleva preoccupazioni per la sicurezza alimentare e richiede misure di controllo adeguate a prevenire la diffusione di queste malattie.

In sostanza, per affrontare efficacemente la peste dei cinghiali nelle zone summenzionate, sono necessarie soluzioni integrate che prevedano l’organico coinvolgimento di diversi attori, in particolare dell’Esercito Italiano e l’implementazione di diverse strategie, al fine di debellare in maniera permanente tale circostanza deleteria.

Pertanto si richiede:

  • Estensione dei poteri dei Sindaci in tema di abbattimento di tale specie, in virtù di una tutela effettiva per l’ interesse sanitario collettivo;
  • Impiego dell’Esercito Italiano per l’abbattimento,  circoscrizione delle zone fin ora analizzate ed il consecutivo controllo delle popolazioni di tale categoria animale: è fondamentale adottare misure di controllo e soppressione delle popolazioni di cinghiali per limitarne la proliferazione.  Al riguardo, potrebbero essere considerata l’inclusione di programmi di caccia selettiva, in collaborazione con esperti e organizzazioni locali, per ridurre il numero di esemplari e mantenere un equilibrio ecologico.
  • Politiche di Protezione delle colture agricole: gli agricoltori dovrebbero essere supportati nella protezione delle loro colture attraverso l’installazione di recinzioni adeguate e l’utilizzo di dissuasori per tenere i cinghiali lontani dalle zone agricole. Potrebbero essere esplorate soluzioni innovative come l’utilizzo di dispositivi di allarme o repellenti naturali per placare l’avvento dei cinghiali.
  • Politiche di Educazione e sensibilizzazione: è importante educare le comunità locali sulla problematica dei cinghiali e sulle possibili soluzioni. La sensibilizzazione può includere la promozione di pratiche di smaltimento dei rifiuti corrette, per evitare di attrarre i cinghiali nelle aree urbane, nonché l’informazione sui pericoli sanitari associati alla presenza dei cinghiali.
  • Reale collaborazione tra le istituzioni: è necessaria una collaborazione attiva tra le istituzioni locali, gli enti governativi, gli agricoltori e gli esperti del settore per sviluppare piani di gestione integrata che affrontino il problema dei cinghiali in modo coordinato. Questa collaborazione dovrebbe prevedere l’allocazione di risorse finanziarie e umane adeguate a implementare le soluzioni proposte.
  • Avviamento di un iter legislativo per la realizzazione di una legge, espressione di una volontà popolare, che regoli  l’abbattimento  – regolato nel numero e nelle modalità di esecuzione –  e la consecutiva macellazione delle carni, motivo di incremento economico ex art 41 Cost.

Dott pasquale Volzone

Avv. Riccardo Vizzino