Napoli – Studio legale Vizzino diffida stragiudiziale per danni materiali da valori obsoleti dell’acqua potabile

Avv. Riccardo Vizzino

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Oggetto: diffida stragiudiziale per danni materiali da valori obsoleti dell’acqua potabile secondo il D.Lgs 2001 n. 31 – Attuazione della Direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano 

Con la presente si intende sottoporre all’attenzione delle Autorità sopra citate, la grave situazione che affligge i comuni del napoletano, dovuta all’insalubrità dell’acqua ed in particolare ai danni materiali, economici nonché ai danni alla salute dei cittadini che discendono dalla durezza delle acque.

Tale situazione coinvolge oramai l’intero hinterland napoletano, tanto da spingere numerosi utenti a rivolgersi al nostro studio ai fini di una tutela nei confronti dei soggetti responsabili.

Preliminarmente, si osserva che la normativa in materia (d.lgs. 31/2001) divide le acque tra quelle trattate o non trattate, destinate ad uso potabile, per la preparazione di cibi e bevande, o per altri usi domestici, fornita tramite una rete di distribuzione, mediante cisterne, bottiglie o in contenitori. Tra queste acque si comprendono anche le acque utilizzate dalle imprese alimentari per la fabbricazione, il trattamento e la consumazione sul mercato di prodotti o sostanze alimentari.

Fatta tale premessa, per comprendere appieno la questione, occorre precisare che per durezza dell’acqua si intende la quantità di sali di calcio e/o di magnesio in essa contenuti. 

Più in particolare, esistono due tipi di durezze, quelle temporanee e quelle permanenti, la cui somma costituisce la durezza totale dell’acqua.

Per durezza temporanea, si intende quella derivante da idrogenocarbonati (o bicarbonati), componenti che vengono eliminati mediante l’ebollizione dell’acqua.

La durezza permanente invece, è dovuta dalla presenza di cloruri, solfati e nitrati di calcio e magnesio, componenti che non si alterano con l’ebollizione e che, pertanto, restano in soluzione.

Va da sè che maggiore è la concentrazione di calcare nell’acqua, maggiore é la durezza della stessa, nonché i danni per gli utenti.

A peggiorare la situazione ora descritta, contribuisce la vetustà e la mancanza di manutenzione e controlli delle tubature. Ulteriore conseguenza di ciò è che l’acqua dei pozzi clandestini riesce a entrare nelle condotte urbane, soprattutto in provincia dove vi è “un’alta incidenza di pozzi privati senza autorizzazione connessi ad acquedotti”, con “una scarsa prevenzione per evitare il riflusso”. Così, in particolare con la bassa pressione dei mesi estivi, i veleni delle discariche possono finire in tutti i rubinetti. A ciò si aggiunga che in metà dei pozzi, gli esperti trovano una sostanza usata come solvente industriale – il Pce o tetracloroetene – considerato a rischio cancro. Ci sono inoltre livelli nocivi di rame e di prodotti usati per potabilizzare l’acqua.

Orbene, a tal riguardo, preme sottolineare che dalle analisi effettuate da organi indipendenti, nonché dalla stessa ABC (Acqua bene comune), è emerso che nel napoletano, i valori sulla durezza dell’acqua – che dovrebbero essere ricompresi nell’intervallo tra i 15 e i 50 °f (gradi francesi) – sono superiori a quelli consigliati (57 °f), ovvero circa 70 mg/l di carbonato di calcio in più. 

Questo dato costituisce un vero e proprio campanello d’allarme per tutti i cittadini del Comune napoletano e della provincia, in quanto, la durezza dell’acqua non può che innescare una serie di problematiche. 

Per quanto concerne i danni materiali, il problema principale è costituito dalle incrostazioni delle tubature di distribuzione, degli impianti interni e degli apparecchi utilizzatori. 

Le incrostazioni in questione sono determinate dall’accumulo di calcare e comportano conseguenze negative.

Nello specifico, esse comportano, non solo un basso rendimento degli apparecchi di uso domestico dovuto alla variazione di temperatura e di pressione, ma altresì, una diminuzione dell’efficienza idraulica che si manifesta con l’occlusione fisica delle tubature e culmina con fenomeni di corrosione.

Invero, i disagi maggiormente lamentati dai cittadini sono rappresentati da tubature intasate, perdita di pressione nell’acqua, depositi di ruggine nelle tubature, perdita di energia nel circuito dell’acqua, un malfunzionamento degli impianti.

Difatti, da tali circostanze, discende una continua riparazione e sostituzione delle apparecchiature ad uso domestico (in particolar modo scaldabagni, lavatrici, lavastoviglie e ferri da stiro) con un conseguente esborso di denaro da parte degli utenti. 

A ciò si aggiunge che un’elevata durezza dell’acqua (parametro – si ripete – che indica il contenuto di sali di calcio, di magnesio disciolti nell’acqua come carbonati, bicarbonati, solfati, cloruri e nitriti) rende, dunque, l’acqua non potabile.

Non solo. Un’elevata durezza dell’acqua attrae a se un maggior impiego di addolcitori piuttosto che detersivi, comportando un ulteriore aggravio economico per i cittadini. Tutto ciò comporta notevoli danni economici per tutti gli utenti.

Analizzando il problema più in particolare vi è evidenziare che il calcare non danneggia solo gli elettrodomestici (lavastoviglie, lavatrici, caldaia…) ma anche la rubinetteria, l’igiene delle stoviglie, l’impianto di acqua calda sanitaria, di riscaldamento, delle tubature e dei collettori solari. L’acqua dura non è indicata per igiene personale, infatti può danneggiare capelli e pelle delle mani e del viso, inoltre non tutti sanno che con i classici lavaggi con acqua eccessivamente dura, i tessuti tendono a sfibrarsi e a perdere di brillantezza. 

A lungo andare, i depositi di calcare rivestono la resistenza elettrica, per questo motivo la lavatrice fa più fatica a riscaldare l’acqua nei lavaggi da 30 °C in su con un conseguente dispendio – si ripete –  di energia. L’acqua fa più giri intorno alla resistenza elettrica perché non riesce a riscaldarsi, di conseguenza va a depositare più calcare… un vero circolo vizioso che porta solo conseguenze negative. In più, un’elevata durezza dell’acqua abbassa l’efficienza dei detersivi e causa problemi a guarnizioni e filtri come poc’anzi osservato.

Il calcare purtroppo si forma anche all’interno della caldaia provocando malfunzionamenti del sistema di produzione acqua calda e di riscaldamento. Tra le principali cause la perdita di efficienza tra il 15 e il 17% annuo a cui si deve integrare il 5/6% sul circuito di riscaldamento. Il calcare, infatti, può incrostare tubature, può incrostare parti dell’apparecchiatura rovinandole, può impedire il corretto flusso dell’acqua all’interno dei tubi o dello scambiatore può creare problemi alla caldaia con produzione eccessiva di rumore e dispersione del calore. Per mantenere la caldaia in perfette condizioni, prima che si creino problemi e malfunzionamenti gravi, si dovrà ricorrere spesso al lavaggio con prodotti chimici.

Al riguardo si segnala una notizia di pochi giorni fa, precisamente del 29.01.2023, riportata dalla testata giornalistica online “Positano News” che titola :” Piano di Sorrento , allarme calcare dall’acqua e blocco delle caldaie nelle giornate più fredde dell’anno” secondo la quale a Piano di Sorrento si sono verificati molti fenomeni secondo quanto denunciato fino ad ora. Si legge, infatti, nell’articolo suindicato che un’utente faceva riparare la propria caldaia tre volte nell’arco di un anno per un costo di euro 200,00 per ciascun intervento.

Il punto della questione è, quindi, indagare in capo a chi gravi l’obbligo di effettuare il controllo sulla potabilità o meno dell’acqua e dunque a chi i cittadini possano rivolgersi al fine di esercitare il diritto alla richiesta di risarcimento danni. 

Se da un lato, la proprietà delle risorse idriche, superficiali e sotterranee, è sempre pubblica, dall’altro la sua gestione, viene rimessa nelle mani di società pubbliche o private. Sussistono, infatti quattro tipologie di controllo: la gestione diretta (i comuni gestiscono direttamente le risorse idriche e la loro erogazione) che serve il 12% della popolazione italiana; le gestioni pubbliche (cioè realizzate da società a capitale interamente pubblico) che raggiungono il 55% della popolazione; le gestioni miste (cioè realizzate da società a capitale misto, pubblico e privato) che arrivano al 30% dei residenti in Italia, e le gestioni affidate a società integralmente private, che sono decisamente minoritarie e servono il 3% dell’utenza totale.

L’acqua viene, pertanto, distribuita dal gestore del servizio idrico, ossia colui che fornisce acqua a terzi attraverso impianti idrici autonomi o cisterne, fisse o mobili (D.Lgs. 31/2001).

Al riguardo la Suprema Corte di Cassazione ha statuito che: “Con riguardo a pubblico servizio di distribuzione di acqua potabile, l’affidamento da parte del Comune del detto servizio ad un concessionario comporta, per quest’ultimo, l’obbligo di mantenere in buono stato le condutture dell´impianto di distribuzione”

In particolare, la giurisprudenza ha sancito che l’omessa fornitura di acqua potabile genera notevoli disagi quali: la difficoltà di provvedere all’igiene personale e della casa, l’impossibilità di usare acqua calda ed elettrodomestici, la necessità di attingere acqua presso altri comuni limitrofi al fine di soddisfare le esigenze di vita primarie e basilari.

I suddetti disagi, che si ripercuotono sulla qualità della vita dei cittadini, diritto costituzionalmente garantito dall´art. 2 della Carta Costituzionale, fanno emergere in capo agli utenti un ulteriore danno che andrebbe loro risarcito, ovvero il danno esistenziale.

Dunque, non vi è dubbio, che ogni utente dovrebbe essere risarcito oltre che per i danni patrimoniali subìti – come, a titolo di esempio, l’esborso di somme di denaro per l’approvvigionamento di acqua potabile presso rivenditori privati – anche per i danni alla salute in caso di utilizzo, ad uso alimentare, dell’acqua.

Non possono, pertanto, trascurarsi, i danni alla salute dei cittadini che derivano dall’utilizzo di acqua insalubre e dura, stante l’elevata presenza di calcare.

Per tali ragioni appare lecito chiedersi come sia possibile, che l’acqua, che per legge viene monitorata da appositi istituti, possa essere caratterizzata da valori al di sopra della normale soglia di sicurezza con un conseguente inquinamento della stessa nonché un grave pregiudizio per la salute degli utenti.

Il d.lgs. 31/2001 offre delle definizioni molto precise in materia di distribuzione dell’acqua. Le condutture, i raccordi, le apparecchiature installati tra i rubinetti normalmente utilizzati per l’erogazione dell’acqua destinata al consumo umano e la rete di distribuzione esterna rappresentano l’impianto di distribuzione domestico. Dunque, se il servizio idrico, consiste nella somministrazione della risorsa idrica e nella fornitura dei servizi di fognatura e depurazione, ne consegue che se manchi uno dei suoi componenti, il canone relativo al servizio non reso non va pagato. 

Come sostenuto di recente dalla Corte di Cassazione se l’acqua che scende dal rubinetto dell’abitazione non è potabile, l’utente ha diritto dalla riduzione del canone e al risarcimento del danno.  Come è noto, una delle voci della fattura per il servizio acqua è il canone di depurazione, ma è chiaro che qualora si dimostri la non potabilità dell’acqua, non si può chiedere un pagamento per un servizio mai reso.

Pertanto, l’utente avrà diritto, quanto meno, al rimborso di tutti gli importi versati negli ultimi cinque anni, a titolo di tale fantomatica prestazione. Ma, oltre alla restituzione di tali somme, l’utente avrà diritto al risarcimento del danno economico qualora dimostri l’utilizzo di fonti alternative (utili potrebbero essere gli scontrini del supermercato per le cassette di acqua minerale). La dichiarata necessità di proporzionare l’entità del danno alla gravità dell’inadempimento, infatti, per il mancato utilizzo dell’acqua in quanto non potabile ovvero dannosa alla salute dei consumatori, impone una valutazione che va oltre il solo dato contabile contrattuale (entità della tariffa o spesa per il consumo dell’acqua nella relativa bolletta) ma richiede un esame del pregiudizio alla salute quale diritto costituzionalmente garantito e inviolabile della persona.

Come anticipato, la Corte di Cassazione ha sancito l’obbligo per i gestori dell’acqua, di risarcire i cittadini per i danni patiti dalla non potabilità dell’acqua. Secondo la Suprema Corte, difatti, il gestore che si è impegnato alla somministrazione dell’acqua, deve ricorrere a fonti di approvvigionamento alternative rispetto a quelle dichiarate fuori legge, senza aspettare che chi ha inquinato appronti misure per affrontare l’emergenza. In ultimo, la Corte si è soffermata sulla stretta interdipendenza tra la corretta esecuzione della prestazione, da parte dell’ente pubblico e il pagamento del corrispettivo (tramite la cosiddetta “bolletta”) da parte del cittadino. In particolare, se l’ente non adempie agli obblighi che discendono dal contratto (contratto che impone al Comune tre distinte prestazioni: la fornitura d’acqua, il collettamento e il trasporto dei reflui urbani verso l’impianto di depurazione, e la relativa depurazione di tali reflui), al cittadino è dovuto un rimborso. Pertanto, è chiaro che i danni da inquinamento dell’acqua dovuti alla sua durezza, dunque all’elevata presenza di calcare, siano risarcibili sia alla stregua del danno patrimoniale (canone indebitamente versato per acqua non potabile, costi per riparazione e sostituzione di impianti, tubature ed elettrodomestici, costi per fonti alternative) sia alla stregua del danno non patrimoniale (danno alla salute, danno biologico e danno esistenziale).

Per mero tuziorismo si rammenta la sentenza n.901/18 con la quale la Corte di Cassazione ha specificato che il danno esistenziale non è sempre legato al danno biologico. Difatti, sono inquadrabili nella categoria di danno esistenziale tutti quegli eventi lesivi che impediscono all’ individuo di accedere alle attività tipiche della vita quotidiana, proprie della persona umana. 

Di conseguenza, appare chiaro che i pregiudizi e gli eventi lesivi che tutti i cittadini sono costretti a subire, a causa della non potabilità dell’acqua, possano essere ricompresi nella voce di danno esistenziale, oltre che in quella di danno alla salute e di danno patrimoniale.

Sul punto, occorre evidenziare che, il problema dell’inquinamento dell’acqua, e dunque la non potabilità, sempre più comune, influenza non solo la vita dell’attuale generazione, ma anche quella delle generazioni future, poiché i suoi effetti permangono nel tempo. L’acqua destinata al consumo umano, infatti, dovrebbe essere “potabile” ove per tale si intende un’acqua che oltre ad essere limpida, incolore, insapore e inodore, non contenga microrganismi e parassiti né altre sostanze, in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana, come la contrazione di malattie infettive, malattie del sistema nervoso, malattie renali e ossee.

Con la presente, dunque, si chiede ai Ministeri tutti coinvolti ed alle Società erogatrici e regolatrici dell’acqua, nelle persone dei rappresentanti legali p.t., attesi i numerosi danni subiti agli elettrodomestici, agli elementi di uso quotidiano nonché indirettamente alla persona tutta, 

1) di indicare le modalità e le tempistiche dei controlli effettuati sulle acque potabili, destinate al consumo;  

2) di indicare i dati rilevati ovvero i valori individuati di sostanze presenti nell’acqua che quotidianamente attraversa le tubazioni e che, viene utilizzata normalmente per esigenze di tipo giornaliero; 

3) di indicare se gli stessi valori individuati, assurgano a consistenze dannose per l’uomo o di quanto di suo possesso (es: oggetti utilizzati per le esigenze quotidiane come lavatrici, macchinetta del caffè, lavatrice, filtri…);

4) di indicare le eventuali soluzioni proposte, anche alternative ai cd. addolcitori, eventualmente anche sperimentate, risolutive dell’evidente capacità organolettica dannosa dell’acqua, oggetto di consumo da parte dell’uomo; 

5) di indicare le eventuali proposte legislative e/o convenzioni attinenti l’utilizzo degli addolcitori o di strumentazioni alternative, idonee a risolvere la nocività dell’acqua.

Con la presente si invitano, altresì, i titolari e/o i responsabili della gestione delle strutture e degli edifici in cui l’acqua è fornita al pubblico, sui quali vi è un obbligo di controllo della salubrità della stessa, ad effettuare le opportune verifiche di cui sopra.

Più in particolare, per quanto concerne la figura dell’amministratore di condominio,  sullo stesso grava l’obbligo di verifica sullo stato di adeguatezza e di manutenzione dell’impianto.

In altre parole, l’amministratore ha la responsabilità di garantire che i requisiti di potabilità dell’acqua non vengano alterati per cause imputabili alla rete idrica condominiale.

Sul punto si applica la direttiva 2015/1787/UE in materia di controlli e analisi delle acque potabili, recepita con D.M. 14 giugno 2017.

La citata direttiva ha modificato la precedente 98/83/CE del Consiglio, attuata con d. lgs. 31/2001 sopra citato come modificato dal d. lgs. 27/2002. La normativa ha lo scopo di tutelare la salute pubblica dagli effetti negativi derivanti dalla contaminazione delle acque destinate al consumo umano, garantendone la salubrità e la pulizia; mira, inoltre a verificare che le misure previste per contenere i rischi perla salute umana, in tutta la filiera idro-potabile, siano efficaci eche le acque siano salubri e pulite nel punto in cui i valori devono essere rispettati.

Dunque, in mancanza di quanto sopra, non si esiterà ad agire in Vostro danno, compulsano le autorità civili e penali competenti, per la tutela risarcitoria dei diritti e degli interessi lesi avverso il cittadino come singolo e come categoria.

Tanto ritenuto doveroso esporre e confidando in sollecito riscontro alla presente, l’occasione è gradita per porgerVi cordiali saluti.

 Avv. Emma Vizzino

                                                                  Avv. Riccardo Vizzino

Avv. Iovine Anna